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IL TENTATIVO DEI QURAYSH DI ASSASSINARE IL PROFETA (S) E LA SUA EMIGRAZIONE A MEDINA

L’inizio dell’Emigrazione a Medina I Quraysh rinnovavano ormai le loro persecuzioni con sempre maggior determinazione e ferocia, in particolare contro i discepoli del Profeta Muhammad (S). Il loro principale obiettivo era quello d’impedire l’emigrazione dei loro concittadini verso Medina. Tuttavia la loro violenza non sortì altro effetto che accelerare questa emigrazione. Il Profeta, che aveva già predisposto per i suoi discepoli un piano di salvataggio insieme agli uomini di Yathrib al momento del solenne giuramento di fedeltà ad ‘Aqaba, e che aveva stabilito per le diverse coppie di discepoli un legame di fraternità al fine di consolidare i sentimenti di reciproca simpatia, diede l’autorizzazione alla partenza per Yathrib. Alcuni discepoli, appena ricevuto il permesso di emigrare, partirono immediatamente alla volta di Yathrib. Così, agli inizi del tredicesimo anno della Missione, prese avvio l’Egira (Hijra) o Emigrazione verso Yathrib. I convertiti meccani che emigrarono a Medina furono chiamati Muhajirin (gli emigrati), mentre gli uomini di Medina che si incaricarono di difendere il Profeta dai suoi nemici, furono chiamati Ansar (i sostenitori). Più tardi tale denominazione fu estesa a tutti i convertiti di Medina. L’Emigrazione continuò lenta e discreta, e in due mesi circa 150 musulmani meccani riuscirono a raggiungere Medina. Il Profeta restò alla Mecca in attesa del Comandamento di Dio riguardo alla sua emigrazione. Soltanto ‘Ali, il suo favorito, e Abu Bakr, restarono con lui per tenergli compagnia. La cospirazione per assassinare il Profeta (S) Nel frattempo i Quraysh, guardando con apprensione all'esodo dei discepoli del Profeta Muhammad (S) e allarmati dalle conseguenze della nuova alleanza suggellata tra il Profeta e i suoi discepoli da una parte, e il popolo di Yathrib dall'altra, congiurarono per impedirgli ad ogni costo l’emigrazione verso Yathrib. Così lo sorvegliarono strettamente affinché restasse alla loro portata, in vista di eliminarlo. Essi tennero un consiglio per discutere i mezzi per farla finita con lui una volta per tutte. Qualcuno propose di imprigionarlo in una cella senza uscita salvo un piccolo pertugio attraverso il quale passargli dei magri pasti fino a che morisse. Un altro suggerì di esiliarlo. Queste due proposte furono però respinte per timore che egli riuscisse a liberarsi e vendicarsi. Infine decisero di entrare con la forza in casa del Profeta Muhammad (S) quella stessa notte per assassinarlo, e designarono un uomo di ciascuna famiglia che partecipasse all'assassinio. Ciò per rendere difficile ogni tentativo degli Hashemiti di vendicarsi dell'assassinio. Infatti sarebbe stato impossibile per questi correre il rischio di entrare in conflitto con ciascuna delle famiglie delle quali un membro aveva preso parte al mortale attacco. La cospirazione era in pieno svolgimento quando l'Angelo Gabriele si recò dal Profeta, l'informò del complotto contro di lui e gli comunicò l'autorizzazione di Dio ad emigrare da Mecca a Medina quella notte stessa. Questo evento è così ricordato nel Corano: "(Ricorda) quando gli increduli complottarono contro di te per tenerti prigioniero, ucciderti o espellerti; essi complottarono (contro di te), ma Dio complottò (contro di essi), e Dio è il migliore nel complottare (cioè: la sorveglianza di Dio si fa gioco dei complotti degli increduli contro i virtuosi)" (Sura al-Anfal, 8, 30). L’emigrazione del Profeta (S) Quando gli assassini iniziarono a radunarsi davanti casa sua, il Profeta avvisò suo cugino ‘Ali del pericolo imminente e dell’intenzione di lasciare la propria casa una volta per tutte. Ordinò quindi ad ‘Ali di dormire nel suo letto al suo posto e lo coprì con il suo ben conosciuto mantello verde. ‘Ali accettò senza esitazione e il Profeta (S), recitando i primi otto versetti della sura Ya-Sin del Santo Libro, si mise in viaggio senza che nessuno degli assalitori lo vedesse, come se fossero stati accecati: “E Noi abbiamo posto una barriera davanti ad essi ed una barriera dietro di essi. Noi li abbiamo avvolti da ogni parte perché essi non vedessero niente” (Sura Ya-Sin, 36,9) “Quando gli assassini si furono radunati si fermarono davanti alla porta e guardando attraverso una fessura credettero di vedere Muhammad addormentato sul suo letto, avvolto nel suo mantello verde. Essi indugiarono un momento per decidere se piombare su di lui mentre dormiva o attendere fino a quando uscisse. Infine irruppero in casa e corsero verso il letto. Il dormiente si alzò, ma non era Muhammad a trovarsi davanti a loro, bensì ‘Ali, il figlio di Abu Talib. Stupefatti e confusi, essi chiesero: “Dov’è Muhammad?” “Non lo so, - disse ‘Ali - e facendosi avanti aggiunse: “E nessuno osi molestarlo!”. La devozione di 'Ali La devozione che ‘Ali mostrò nei confronti del Profeta, correndo impavidamente il rischio di perdere la vita, fu molto apprezzata dall’Onnisciente Giudice degli uomini, Dio il Misericordioso, che inviò i Suoi angeli Gabriele e Michele a proteggerlo dalla banda degli assassini. Egli informò il Profeta, che intanto proseguiva il suo cammino verso Medina, del Suo compiacimento per la sottomissione di ‘Ali alla Sua Volontà, nei termini contenuti nel versetto 207 della Sura al-Baqara: “Vi è tra gli uomini qualcuno che vende sé stesso per il compiacimento di Dio; e Dio è buono verso i Suoi servitori". La grotta nella montagna di Thawr Lasciando la sua casa, il Profeta incontrò Abu Bakr e gli chiese di accompagnarlo. I due partirono con il favore della notte e si diressero veloci verso sud, in direzione opposta a quella di Medina verso la quale i Meccani supponevano naturalmente che essi si dirigessero. Dopo circa un’ora e mezza di marcia, essi, attraverso un passaggio accidentato e difficile, raggiunsero uno sperone roccioso sulla montagna di Thawr. Là, trovarono una grotta angusta la cui apertura consentiva a malapena il passaggio di un uomo per volta. Abu Bakr vi entrò per primo, la pulì, la spazzò e lasciò quindi entrare il Profeta, ed ambedue vi trovarono rifugio. Durante la notte un ragno tessè una spessa tela all’ingresso della grotta ed una folta vegetazione crebbe tutt’intorno; in questa un piccione costruì il suo nido e vi depose le uova. Così la grotta sembrò deserta da lungo tempo. I Quraysh, rabbiosi per l’emigrazione messa in atto con successo dalla loro vittima designata, promisero una ricompensa di cento cammelli per la cattura del Profeta (S), vivo o morto. Dei ricognitori furono ingaggiati per cercare i fuggitivi in tutte le direzioni. Essi esplorarono tutti gli anfratti del territorio in un raggio di diversi chilometri attorno alla Mecca. Infine giunsero nei pressi della grotta nella quale era nascosto il Profeta. Abu Bakr cominciò ad agitarsi di fronte al pericolo imminente. Lamentandosi e tremando disse al Profeta: “E se avessimo proseguito, ci avrebbero scoperto? Siamo soltanto in due!” “Non aver paura, - disse il Profeta – Dio è con noi”. I ricognitori dei Quraysh si avvicinarono alla grotta, ma vedendo la provvidenziale tela di ragno e il nido di piccione con le uova, dedussero che l’anfratto era deserto da diverso tempo. Si rimisero quindi in cammino senza prendersi la briga di guardarci più attentamente. L'Emigrazione del Profeta (622 d.C.) Il Profeta Muhammad (S), in compagnia di Abu Bakr, passò tre giorni d'incertezza in quella grotta situata nell'arida roccia di una regione montuosa e selvaggia, ma sempre confidava serenamente in Dio. Alla fine del terzo giorno, venuto meno lo zelo dell'inseguimento e attenuatasi l'affannosa ricerca del primo momento, 'Ali fece giungere loro dei cammelli ed una guida incaricata di condurli a Medina per una pista non frequentata. La sera del lunedì 5 Rabi' al-Awwal, essi ripresero il viaggio. Il secondo giorno, quando ormai si sentivano fuori dal pericolo di essere inseguiti, si accorsero che dietro di loro, in lontananza, c'era un uomo che s'avvicinava. Si trattava di Suraqa ibn Malik il quale, allettato dalla ricompensa promessa per la cattura del Profeta, non aveva abbandonato le ricerche. Nel vederlo, Abu Bakr ricominciò a gridare: "Siamo perduti!". Ma il Profeta lo confortò ancora una volta dicendogli: "Non aver paura, Dio è con noi". Dopo di che il Profeta pregò Dio di proteggerli. Mentre il loro inseguitore avanzava, il suo cavallo si impennò ed egli cadde a terra restando immobile. Suraqa capì allora di non avere più alcuna possibilità di successo. Disorientato e stupefatto, si convinse dell'intervento del Cielo e pregò il Profeta di perdonarlo, promettendogli di non tradirlo. Il Profeta pregò per lui. Allora il suo cavallo si rialzò ed egli l'inforcò per ritornare a Mecca. Il Profeta Muhammad (S) fu nuovamente libero di proseguire il suo cammino, costeggiando la riva del mare. Un miracolo Prima dell’incontro con quest’inseguitore, il Profeta (S) si era riposato un poco a Qadid, sotto una tenda appartenente ad una nobildonna, Umm Ma'bad. Alzandosi per riprendere il viaggio, egli compì l'abluzione preparatoria per la preghiera del pomeriggio lasciando cadere l'acqua (dell'abluzione) su di una pianta vicino alla tenda. La pianta, l'indomani, si trovò trasformata in un albero carico di frutti e fitto di foglie, grande come non se ne erano mai visti prima di allora. Chi ne gustò i frutti, li trovò deliziosi e saporiti. L'albero venne così considerato benedetto ed i malati cercavano rimedio nelle sue foglie e nei suoi frutti. Esso conquistò rapidamente una grande fama. La gente affluiva intorno a lui venendo da molto lontano. Circa dieci anni più tardi, esso perse improvvisamente tutti i suoi frutti. L'evento coincise con la morte del Profeta. Dopo circa trent'anni, il giorno del martirio di 'Ali, i suoi frutti caddero nuovamente tutti di un colpo, e l’albero non ne produsse mai più. La gente, tuttavia, si accontentava delle sue foglie per curare le proprie malattie. Infine, il giorno che Husayn, il nipote del Profeta, cadde martire a Karbala, un liquido rosso colò a profusione dal tronco e l'albero in breve seccò.