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Dell’Eguaglianza

Nel Nome d’Iddio Altissimo Dell’Eguaglianza È nostro intento precipuo occuparci, in questo scritto, del secondo dei tre celebri vocaboli, abominati od esaltati, secondo i casi, i quali compaiono sulle bandiere insanguinate della Rivoluzione Francese, con il proposito di trattare in seguito, a Iddio piacendo, anche della “fraternità”, dopo d’avere già detto in passato della “libertà”. Per quel che riguarda quest’ultima, ci permettiamo dunque di rimandare i lettori al nostro precedente scritto dello stesso titolo. È dopo d’avere esaminato il significato e contenuto di questo termine equivoco, da un lato sotto il rispetto del fraintendimento moderno o modernista, dall’altro sotto quello tradizionale, vale a dire, della sapienza rivelata dei Nunzi divini, per quanto ciò sia possibile alle nostre forze modeste, ci accingiamo a trattare del secondo di quegli equivoci e fraintendimenti, vale a dire, di quell’”eguaglianza”, pretesa anch’essa sotto un riguardo affatto inferiore e derivato, comunque inautentico da un punto di vista eminente. Equivoco sul quale si fonda peraltro la nozione ancora più astrusa e più confusa, in definitiva priva di ogni significato, di “volontà popolare”, la quale la fa da padrona nel mondo contemporaneo, in quanto coacervo preteso di presunti “eguali”, com’è che vedremo qui appunto in seguito, esaminandone la realtà di fatto, dopo d’averne preso in considerazione il significato verbale, essendo questi due ultimi argomenti intimamente legati tra loro. Quello che ci preme ora di premettere, è che, assai significativamente, nella lingua araba, che noi attribuiamo per eccellenza all’eminenza della Rivelazione Divina, questo vocabolo non è dato, per lo meno espressamente. Abbiamo il prefisso “ĸa”, usato nel Sacro Corano ad esempio nel confronto tra retti e corrotti, e tra timorati d’Iddio, sia magnificato ed esaltato, e libertini, XXXVIII, 28, cosi come nel Du°ā' Kumayl in quello tra credenti e corrotti. Termine che peraltro significherebbe più propriamente “simile”, non ”eguale”. Così come abbiamo “miŧla”, in modo avverbiale, ma nel senso del nostro “simile”, laddove invece “qiyās” esprime più propriamente il confronto, con la conseguente apposizione, o proporzione. Ripetiamo che tutto questo, lungi dall’avere un’importanza meramente verbale, è invece sommamente significativo. Facendo indubbiamente riferimento ad una realtà di fatto riconosciuta ed accettata, e ad una non riconosciuta e non accettata, a differenza degli occidentali. Il fatto è, che anche nella lingua latina”aequalis”, così come “aequuus”, ha a che vedere più propriamente non con l’identità, ma invece con la giustizia, intesa come proporzionale o distributiva, usando il linguaggio della Scolastica, vale a dire sotto il riguardo di una corrispondenza qualificativa ad un sostrato d’essere, non di quella meramente commutativa, che non tiene invece conto se non dell’astratto dare ed avere, a prescindere da ogni previa dignità. Così come nell’antica lingua ellenica “omoios”, così come “omos”, quest’ultimo con una qualche accentuazione, ha il significato, specialmente nell’uso omerico, il più originario, più di simile che di eguale, tanto che quest’ultimo avrebbe senso più al vertice che in basso, com’era per gli spartani, in quanto distinti dal volgo dei sottomessi, ma mai del tutto identici tra loro, mentre l’uso tardo di “omos”, nel senso d’”identico”, avrà riscontro nella dottrina trinitaria. Qualcosa di simile a quello che avviene nel tedesco per “gleich”, ed “ähnilch”, dov’è difficile distinguere tra “eguale” e “simile”, a dispetto della ricchezza espressiva di quella lingua. Ora il senso di eguaglianza, nel senso di pura identità, estrapolato e sovrapposto a quello originario di “equità”, è in effetti un assurdo puro e semplice. Perché nell’essere non ci sarà mai eguaglianza tra diversi, ma semmai unità ed identità originarie e trascendenti. Per il resto, l’eguaglianza è insussistente, frutto di mera astrazione: due esseri eguali sarebbero la stessa cosa, ovverosia un solo essere, laddove invece due equità sarebbero in rapporto ad esseri differenti. Diciamo qui esseri, e non enti, per evitare arbitrarie estrapolazioni quidditative, a prescindere in questa sede da una discussione minuta dei relativi significati. Laddove dunque si dica d’eguaglianza, non si sa per nulla in effetti, che cosa s’intenda significare. Non certo qui, in questo nostro basso mondo, si avrà un solo essere, né tantomeno s’intenderà così riferirsi comecchessia al dominio della trascendenza, a qualsivoglia suo livello d’unità. Ogni essere sarà dunque contraddistinto da un suo peculiare fondamento di sue proprietà particolari, non essendovi dunque così giammai due essere “eguali”, sotto entrambi i riguardi, del sostrato e delle qualità. Pretendendone l’eguaglianza, non si farà dunque se non ingannare, o per ignoranza colpevole, oppure per malafede. È in questo modo dunque, che l’unità non potrà essere se non quella proporzionale suddetta, a prescindere da ogni astrazione indebita, vale a dire il corrispondersi di proprietà e di sostrati, nel senso che a differenti estensioni d’essere, corrisponderanno diverse qualità e diversi atti, in senso operativo, non formale. Che soltanto così, con un linguaggio traslato preso a prestito dal mondo dei numeri, potranno corrispondersi, similmente alla seconda delle due progressioni numeriche, nel senso che saranno in questo modo eguali solamente i rapporti d’inerenza, non i singoli complessi esistenziali. Così come anche, per parte sua, la giustizia distributiva, o proporzionale, sarà definita da una corrispondenza d’attribuzione alla dignità del singolo essere, che ne renderà eguali solamente i relativi rapporti, dove l’uguaglianza viene ad essere solamente qualcosa d’astratto, non di sussistente. Ci si perdoni quest’apparente digressione. Il fatto è, che sulla pretesa e presunta, ma insussistente eguaglianza degli esseri umani si fondano tutta una serie di abusi e di equivoci, dalle conseguenze le più incresciose. È qui peraltro necessario premettere tutta una serie di necessari chiarimenti. L’eguaglianza al giorno d’oggi tanto millantata davanti alla legge, come non fosse esistita prima, a prescindere da ogni increscioso stato di fatto, non fa che confermare le nostre considerazioni precedenti. Che le leggi siano eguali per tutti, da quelle di Mosè, la pace su di lui, a quelle di Zaleuco di Locri, a quelle romane delle XII tavole, o di Licurgo a Sparta, o di Solone ad Atene, non significa certo che tutti gli esseri umani siano o debbano di per sé stessi essere uguali. Che essi debbano essere eguali davanti alla legge, non significherà che gli essere umani siano tutti eguali nel loro essere. “Ad ognuno abbiamo assegnato una via”, recita il Sacro Corano, V, 48, come anche “Vi sono gradi presso Iddio”, III, 163. Ma come sarà dunque che, stando così le cose, la legge è una? Il fatto è che la Legge Rivelata, o tradizionale, nulla ha a che vedere con le astrazioni tanto conclamate dell’illuminismo e del razionalismo moderni e contemporanei. Il risultato sarà affatto differente, nell’uno e nell’altro caso. Queste sono finzioni mentali, quella una realtà che procede dalla trascendenza, apprendendosi in quanto tale a qualsiasi livello dell’essere, alla molteplicità ed alla complessità del creato tutto. Perché il Principio è Uno, S. C., CXII, 1, ma la sua profusione è molteplice, laonde si avrà a questa stregua un procedere da una semplicità indistinta, ad una distinta ed identica, ad una distinta non identica e non separata, ad una distinta e separata. La Legge Rivelata procede dapprima da Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere, costituendone il Verbo, l’actus dicendi, l’atto del Suo dire, il suo palesamento ai suoi vari livelli, essendone dunque, sempre ai suoi vari livelli, il segno dell’ascesa, il Suo significare eminente, che costituito che abbia ogni essere, gli consente inoltre d’intraprendere le vie per salire a Lui, S.C., LXX, 3. Dunque dalla discesa creativa, ai vari tratti successivi dell’ascesa attuativa iniziatica. Essa non sarà una qualche mera estrapolazione mentale arbitraria, a prescindere dal suo fondamento “in re”, nella cosa stessa, oppure un’invenzione che pretenda di uniformare il multiforme, in tutta la sua complessità, riconducendolo ad un’esistenza solo larvale. Nulla di tutto questo. Essa è invece realtà, realtà eminente, a vari livelli d’attuazione, in quanto diretta processione divina, della quale il creato tutto si fa e depositario e latore. Avendo essa peraltro un corrispettivo personale di palesamento, un suo peculiare supposito, che l’assume e l’articola in sé identicamente nel suo complesso, oltre il singolo particolare, essendone il supporto dell’essere, nella dottrina imamita il Nunzio divino ed i suoi Successori, o piuttosto, i XIV Puri dell’immediato fulgore divino, donde procedono le luci degli Inviati e degli Approssimati ulteriori che, nella loro particolare funzione, ne espletano il fungere. Dunque realtà, cui corrisponde la realtà stessa degli uomini e del mondo, a prescinderne dal tralignamento, nel suo senso eminente di aspetto dominicale della realtà creata, come dall’Imam Ķomeynī nelle sue note a Qaysari e ad Ibn Arabi. Seppure non prescindendo, siccome già dicevamo, dall’altro suo aspetto, da quello effettuale, che viene a costituire anch’esso, nel senso del legame tra la trascendenza normativa esistenziale e la singola effettualità creata. Viene dunque sfatata, in questo stesso modo, la sciocca leggenda modernista della pretesa “eteronomia” della legge, vale a dire, della sua differenza irriducibile nei confronti degli esseri umani, tanto propalata dall’ignoranza moderna e contemporanea dell’Occidente tralignato, che presenterebbe o d’opporla ad una legge di natura a sé stante, non coincidente con quella promulgazione, con la sua appendice razionale, identificata indebitamente con l’intelletto. Od addirittura d’opporle l’arbitrio umano, razionale o no ch’esso sia, secondo una linea che avrebbe un suo capostipite nel Tocqueville, nel secolo XIX dell’era volgare, già aspramente biasimato dal Rosmini. Che prese già allora a modello delle sue elucubrazione insensate, che stabilivano che la giustizia e la legge fossero mero frutto dell’arbitrio, quel mondo anglosassone, specie nella sua variante nord americana, divenuto l’esemplare stesso di quella contro legge arbitraria, sovrapposta persino a quella pretesa di natura. Provenendone l’abominio infame di quei moderni “diritti dell’uomo”, quali vennero assunti per bandiera dalla Rivoluzione Americana prima, e da quella Francese poi, ed in seguito dal consesso framassonico delle nazioni senza Iddio, sia magnificato ed esaltato, vale a dire dalle Nazioni Unite, autentico, orrore, sentina di quasi tutte le nefandezze contemporanee, che si tenta d’imporre ad una disgraziatissima umanità, oramai senza intelligenza e senza via. Andando così egli a buon diritto annoverato tra i padri ignobili di quell’informe ed immondo liberalismo, o democratismo liberale, oggigiorno apparentemente trionfante in quasi tutto il mondo nella sua forma estrema, precorritrice di altri disastri, dopo d’essersi appropriato indebitamente della nozione, e del fatto, della libertà, del quale diremo qui di seguito, confrontandolo con gli altri due errori capitali moderni, il comunismo ed il fascismo. Il fatto è che la legge, lungi da costituire quell’imposizione arbitraria da risolversi o mediante il ritorno rousseauiana ad uno stato di “natura pura”, in definitiva bestiale e scevro da leggi, o dall’arbitrio utilitario dei pretesi rappresentanti della cosiddetta “volontà popolare”, dei parlamenti “democratici”, rappresenta invece, come già dicevamo, l’aspetto formale e qualificativo dei livelli superiori dell’essere, nella loro discesa dalla Fonte dell’essere. Perché sempre, come avevamo già detto, “Vi sono gradi presso Iddio”. Livelli superiori ciascuno dei quali contiene in sé, ad un livello di maggiore unità e semplicità, quello e quelli inferiori, ognuno dei quali ne costituisce l’immagine debilitata esistenzialmente, come dalla dottrina dell’intensificarsi e dell’affievolirsi dei livelli rispettivamente ascendenti e discendenti dell’essere in Molla Sadra. Il livello superiore è intensivamente, per così dire, più ricco di essere, nel senso del “tašdīd”, del “rafforzamento” sadriano, tanto che, per questo medesimo sovrappiù, quel che è inferiore, è in lui identificandoglisi La legge sarà dunque sostanza superna, come recita l’Imam Ķomeinī, che discende di livello in livello sino a fissarsi nel cuore del Nunzio divino, nel centro del suo essere, S.C. II, 97, donde quel che ne promana in forma sensibile, e dei suoi Eredi e Successori, come già detto prima, o più in generale, di tutti i Puri sue scaturigini, comprendendovi Fatima, la pace su di lei, supposito della purità trascendente, e tutti quanti gli Inviati e gli Approssimati. Tutti raggi della medesima luce personale, a cui si antepone e sovrappone solamente quella Divina, “Luce si luce”, S. C. XXIV, 35. Sarà dunque ovvio in primo luogo, che non s’avrà nessuna pretesa “eteronomia”, nessuna differenza irriducibile. Essendo anzi l’Imam la guida esterna, identica nella sua sostanza a quella guida interna, come recita un celebre detto del Käfī, la quale costituisce l’aspetto dominicale, intimo e trascendente dell’essere umano, di là dai vincoli e dai limiti di quello servile a ad esso sottoposto. Risulterà evidente in secondo luogo, com’è che l’eminenza dell’unità trascendente sopraordinata della Legge non violi il principio suddetto dell’indistinguibilità degli eguali, essendovene in primo luogo in ciascun essere subordinato un riflesso peculiare, derivante dalla semplicità e dall’unità trascendenti, che ne costituiscono il cuore della promulgazione esterna, così come essa ci viene data nella Legge Divina Rivelata. Perché la legge è una, ma i suoi sottoposti invece sono molti, la pluralità stessa degli esistenti. Ricordando che la sua unità è quella della persona visibile e della luce trascendente sottesa alla persona visibile che se ne profonde. Essendo dunque Alì, la pace su di lui, com’è stato detto alla battaglia di Siffin contro Muhawia, cosi come ciascuno dei Puri, a procedere dell’eminenza dell’Inviato d’Iddio Altissimo, il “Corano Loquente”, vale a dire, vivente e sensibilmente manifesto, il verdetto divino, per Sua Volontà essenziale, senza nessuna cesura o tramite, contrariamente a quanto pretendevano i Ķarigiti e Muhawia. Sarà dunque evidente, a questo medesimo riguardo, tutta l’infondatezza della pretesa di fondare la presunta “eguaglianza” degli esseri umani sull’unità della Legge Rivelata, a prescindere, dall’altro canto, da quella mera petizione di principio, per cui essa deriverebbe da quella medesima legge astratta ed arbitraria, pretesa naturale, oppure meramente elucubrata ch’essa sia, la quale invece procede appunto da quella eguaglianza presupposta. Dicevamo dunque che, sotto il riguardo della dottrina dell’essere, vale a dire, nella natura stessa delle cose, l’”eguaglianza”, l’”egalitè” dei francesi, della loro rivoluzione nefasta, da loro subita e da loro imposta, non esiste minimamente. Senza che si abbia qui, quello che accadeva invece per la libertà, laddove si aveva un assunto illegittimo di un fatto del tutto legittimo, com’è peraltro per la legge nei suoi vari casi, in cui venga assunta o no nel suo giusto verso. Trattandosi qui di realtà, e non di mere astrazioni e finzioni. Trattandosi della vicenda, della quale trattano magistralmente Guenon ed Evola, dell’inversione del segno e del significato nel mondo moderno e contemporaneo. Per cui si finisce col riferire a realtà corporee od addirittura irrealtà infere, entità eminentemente significative, la cui radice prima è da ricondursi alla trascendenza, ai suoi vari livelli, secondo l’assunto delle dottrine sapienziali, dell’aspetto dominicale, più o meno nascosto, delle realtà create, per la qual cosa vedi ancora l’Imam Ķomeynī qui di sopra citato. Si tratta così di crearsi una mera “realtà di sogno”, colpa della quale si è fatto sovente carico a quanti non si uniformassero, seppure in un modo distorto e parziale, come vedremo qui in seguito, alla mondializzazione imperante. “Realtà di sogno” che è il fondamento di quanto viene su di essa edificato, vale a dire, il mondo delle insussistenti, pretese “libertà democratiche”, e della “volontà popolare”, la “democrazia”, che dir si voglia, peculiari del pensiero e dell’azione liberale contemporanea, apparentemente trionfante. Pensiero dicevamo dunque. Perché si tratta qui di meri assunti mentali, i quali astraggono anche da quella produzione fattuale del mondo presunta dal pensiero “idealista”, vale a dire, del prodursi dell’essere in varia maniera, soggettiva o no che sia, da un elemento ad esso sovraordinato. Sia esso il singolo soggetto umano di Berkley o di Kant, oppure il mero nulla estrapolato dall’essere nella stessa guisa dell’essere infimo indefinito, sottostante ai sussistenti ed alla stessa materia prima, al quale s’identifica, di Hegel. Quello che qui è rimarchevole, è che questi assunti menatali avranno un loro aspetto fattizio, essendo peraltro fondati su di una situazione di fatto, in un procedere circolare. Perché l’eguaglianza, seppure non sussistendo di fatto, nondimeno avrà un suo appiglio effettuale nelle condizioni di questo nostro basso mondo. Sicché in una certa misura, non verrà più a trattasi di una mera impossibilità ed inconsistenza, ma di una realtà, che andrà valutata per quel che è. Dove assistiamo ad un proceder regressivo di qualificazione, vale a dire, ad un impoverimento di quello che è il contenuto d’essere dell’esistente, corrispettivo alla discesa sadriana dell’essere dalle vette della trascendenza, che andrà in un qualche modo ad essere partecipe di quell’unità ed identità invertite e caricaturali di quel nulla puro, nel cui verso esso procede, il quale, nella sua indefinitezza dequalificata ed inconseguibilità, verrà a darne l’illusione. Andando questa dequalificazione intesa nel senso dell’essere, non delle apposizioni separative aristoteliche, accidentali o no ch’esse siano, vale a dire, nel senso dell’esistente, ovverosia della composizione dell’essere limitato col nulla limitato, procedenti l’uno dall’essere, l’altro dal nulla puri. Nel caso dunque della discesa dell’esistente, che qui non discutiamo, non dandone ragione nei suoi particolari, quello che assumerà sempre maggior rilievo sarà dunque l’aspetto numerico, oppure quantitativo della realtà effettuale. Non sarà il caso, in questa sede, di discutere della discesa creativa, alla quale corrisponde la discesa della vicenda transeunte di questo nostro basso mondo dalla plenitudine adamica originale, espressione limitata della plenitudine della luce muhammadica. In una catena di antecedenze causali occasionali, che portano ad un sempre più compiuto e provvidenziale esternarsi della Legge Rivelata, e del suo latore, in una vicenda di successivo perfezionamento, contraltare della decadenza umana, e suo rimedio ineludibile. Perfezionamento ostensivo di una plenitudine trascendente, il quale culmina nella pienezza del palesamento della luce muhammadica, tale da a dare all’essere umano una compiutezza di mezzi capace di affrontarne la decadenza estrema sì, ma nient’affatto irrimediabile. Alla quale farà da dunque corrispettivo, per suo tramite, non il “progresso”, ma l’ascesa iniziatica dei quattro viaggi dell’intelletto alla trascendenza, attuativo della sua realtà, anche se non produttivo, nel suo presupporre la previa discesa creativa. Alla perfezione maggiore del palesamento della legge, con la sua persona, dei due carichi, che andranno assieme sino al Giorno del Giudizio, per sfociare nella plenitudine della Sorgente Divina, farà dunque da corrispettivo l’impoverimento di una sostanza umana, sempre più bisognosa di strumenti apparentemente esterni, in realtà radicati nella sua natura adamica originale. Natura così debilitata ed occultata, ma giammai obliterata, com’è invece pretesa dei Protestanti, dalla successiva discesa del circolo delle vicende umane. A conferma della dottrina cattolica della “rettitudine originale” adamica, nella pienezza dei doni divini, corrispondente al deposito coranico della fede, XXIII, 72, dei nomi, II, 31, ed al riconoscimento primordiale della signoria divina, VII, 172. A cui consegue la caduta dovuta quello che è detto impropriamente “peccato originale”, a conferma della discesa dell’uomo primordiale, e dell’impoverimento, non dell’annichilazione, dei suoi doni previ, la qual cosa verrà a richiedere un intervento sempre maggiore della grazia divina, senza che abbia ad esserne leso l’arbitrio, come pretendono i Protestanti. Discesa che, come dicevamo, ha come correlato necessario la discesa esistenziale complessiva, contenendo di diritto la natura umana ogni essere, com’è che attesta Molla Sadra, confermato da Guenon, a manifestare la totalità dell’esistente, ma nell’onnipotenza e nella benedizione divine atte ad esaltare l’infimo nel supremo, così come aveva rigettato il supremo nell’infimo, come recita il sacro Corano, XCV, 4-5, a palesare la pienezza del creato. Ora dicevamo appunto, che nella discesa l’aspetto d’indifferenza quantitativa tenderà ad imporsi, pur senza potere mai prevalere, a prezzo della sua mera annichilazione. Due quantità potranno essere uguali soltanto apparentemente, nella maniera di due misure di uno spazio preteso vuoto, di fatto inesistente, così come di due mere unità, in senso numerico, nel senso dell’unità che accoglie accanto a sé unità differenti, non dell’Identità, od Unità Suprema. Dove sarà da osservarsi, che quest’eguaglianza sarà sempre un’estrapolazione da condizioni distintive, e per lo spazio, e per il numero, laddove l’uno e l’altro siano indebitamente assunti di per sé, ma solo mentalmente, come già riconosceva correttamente a suo tempo Aristotele, vale a dire, astratti che siano dalle condizioni distintive reali, ma non nel senso del denudamento dagli annessi limitativi, nel verso della purificazione iniziatica. Due quanti uguali dunque, estrapolati non solamente dal loro stesso ambiente, ma dalla stessa indistinzione prima loro sottesa, com’è per i quanti di Plank e della quanto meccanica, oppure per le particole, per di più puntiformi, immaginate incoerentemente da Newton siccome vaganti nel vuoto. Oppure per quelle astrazioni numeriche e spaziali, riconosciute indebitamente da Galileo per alcunché di affatto reale in sé stesse, identificandole indebitamente con i principi trascendenti produttivi del mondo. Facendo così confusione tra l’astrazione mentale, ed il denudamento iniziatico, vale a dire, la trascendenza realizzativa, che libera dai limiti esistenziali, conducendo al Principio dell’essere. “Per questo governo sei solo un numero”, viene voglia di ripetere, essendo i numeri, a prescinderne dal più e dal meno, in quanto tali eguali, anche se, pure nel caso loro, non assolutamente, dato che per esistere in quanto tali, qualche distinzione dovranno averla. Uomini eguali dunque, o pretesi tali, vale a dire, ridotti ai minimi termini astrattivi nel verso della mera insussistenza esistenziale. Non più persone latrici di una plenitudine discendente creativa particolarizzata, ma invece individui, nel senso della specie ultima indivisibile inadeguata, solo formalmente tale, assunta indebitamente di per sé stessa, ovverosia maschere del vuoto, del nulla preteso originario, com’è appunto per la dottrina massonica dell’ascesa dal nulla primordiale, com’ebbe ad osservare acutamente Evola. Ed è appunto quest’uomo minimo, ridotto ai minimi termini, quand’abbia a considerarsene la corrispondenza con il soggetto della discesa esistenziale, che si arroga tutto. Attribuendosi persino dei diritti, primo fra tutti il diritto di governare, o piuttosto, di governarsi, contrariamente agli assunti della Politeia platonica. In effetti, sarà qui che entrerà in gioco una trasposizione, o meglio, un’ulteriore assunto arbitrario insussistente, quello dell’insieme degli eguali.Verrebbe qui voglia di ricordare, non soltanto per satira, la famosa “congiura degli eguali” di Babeauf, al tempo della Rivoluzione francese. Ma il fatto più sconcertante sarà, che qui non si tratta più solamente di un delirio d’eguaglianza non realizzato, come fu quello, ma piuttosto di un qualcosa che, a suo modo, viene pienamente attuato. Attuarsi che procede da due termini complementari, la condizione regressiva dell’uomo contemporaneo, da un lato, dall’altro l’azione malefica d’intelligenze luciferiche invertite e caricaturali, com’ebbe a dire l’Imam Ja°far, la pace su di lui, a proposito di Muhawia, che vi si appoggino per realizzare il loro piani perversi. Dicevamo dunque persona, ben distinta dall’astrazione di per sé insussistente dell’”individuo”, della specie indivisibile od atoma, inadeguata perché la sua natura specifica sarà di non essere affatto specie, che significativamente non ha corrispondente esatto in arabo, la lingua della Rivelazione. Non essendo presente neppure nell’antica lingua ellenica, dove “ipostasi”, ha il senso di “persona”, o più propriamente, “supposito”, o “sussistenza”. Non essendo questo significato presente neppure nell’antica lingua latina, se non in tempi tardi postclassici, avendosi dapprima un senso aggettivale, più che sostantivato, riferentesi ad esempio in Cicerone agli “atomi”, alle particole supposte indivisibili di Democrito ed Epicureo. Avendo solamente più tardi, nell’ambito della Scolastica, assunto il seguente significato, come succedaneo dell’aristotelico “sinolo”, la pretesa completezza dell’esistente limitato, completo solo quanto alla quiddità astratta, che esso farà sussistere, non alla trascendenza. Specie inadeguata dunque, dicevano gli scolastici, fondata sulla separazione e la differenza, di per sé vuota di contenuto, in quanto tale appunto “eguale”, ma contraddittoriamente irriducibile ad identità, sia a quella in senso stretto dell’essere, che a quella caricaturale del nulla, anche svuotata che la si sia d’ogni suo contenuto, tanto da non ridurvisi se non nella guisa della dissoluzione compiuta, rinunziato ch’essa abbia anche alla sua parvenza d’essere. E vale qui la pena osservare, com’è che nel mondo contemporaneo tanto si ciarli di questo individuo, in una guisa abusivamente e surrettiziamente interscambiabile con l’essere umano, inteso non più in riferimento all’Uomo Perfetto trascendente, profusivo, ed onnicomprensivo, ma nel senso di uno svuotamento esistenziale, che lo riduce sulla soglia dell’essere indeterminato, l’”esse simplex” di Tommaso d’Aquino, contrapposto all’”esse perfectum”. Essere che sarà o solidale, od anche identico a quella materia prima, che Molla Sadra considerava quanto di più vicino al nulla puro, tenuto conto della sussistenza non astrattiva di questa, e dell’astrazione di quello.Quello che peraltro è rimarchevole, nelle concezioni moderne e contemporanee, è che ci si trova sempre dinnanzi ad un coacervo d’”eguali”, con sfumature orientate in definitiva nel verso della dissoluzione compiuta, non certo dell’essere. Quello che è perspicuo in un siffatto modo d’intendere, è che questo medesimo elemento preteso e presunto “eguale” pretenderà di essere il principio del tutto, scaturigine di rapporti e d’inerenze varie, prima fra tutte quella per cui esso diviene appunto un “tutto”. Ora il rapporto tra gli “eguali”, o presunti tali, sarà meramente immaginario, o mentale, almeno al loro medesimo livello d’esistenza, o d’inesistenza. Nulla che abbia a vedere con un’esistenza di fatto. Sarà questo peraltro sempre il vecchio errore di “assimilazione”, od “analogia”, già condannato dall’Imam Ja°far, la pace su di lui. Per cui si procede da un particolare ad un particolare oppure ad un tutto, a prescindere da un principio superiore semplicemente inclusivo e deduttivo, qui con l’aggravante dell’insussistenza di fondo dell’elemento principiale, che non viene assunto in rapporto alla sua scaturigine, ma doppiamente di per sé, e quanto alla sua origine, e quanto alla conclusione che successivamente se ne trae. Due enti eguali giustapposti e separati, per arbitraria che ne sia l’esistenza di fatto, al loro medesimo livello dell’essere verranno ad avere un rapporto meramente immaginario e mentale, com’è peraltro che essi stessi saranno meramente immaginari, come già dicevamo, dato che non sia possibile, sempre al loro stesso livello d’esistenza, stabilire qualcosa che li unisca. Questo naturalmente mercé di un’estrapolazione arbitraria, che li separi dai livelli sopraordinati dell’essere, tenendo questi ultimi arbitrariamente in non cale. Essendo questo un asserto di Molla Sadra, quanto all’insussistenza di un tutto di separati, valendo la cosa sia in generale, sia nella fattispecie nel caso dell’”individuo”, ovverosia dell’”atomo”, perché è questo appunto il significato di siffatto abusato vocabolo nell’antica lingua degli Elleni, vale a dire, “indivisibile”, oppure “indiviso” in sé stesso, non quanto ad altro. Giacché la suddetta separazione d’individui sarà risolta, oppure non sarà risolta. Non risolta che sia, essa darà luogo a tutte le previe difficoltà esistenziali. Risolta ch’essa sia, avremo un’unità, anche se ai suoi diversi livelli, dalla mera giustapposizione spaziale e corporea, limite ultimo della separazione sulla soglia stessa del nulla puro, sino alla distinzione delle sostanze trascendenti non materiate, dette “separate” quanto a questo nostro basso mondo, al configurarsi dell’essenza unica nell’identità stessa dei suoi predicati, sulla soglia dell’Essenza Suprema, i nomi e gli attributi divini in quanto tali, quindi una, non riducibile ad un molto se non per estrapolazione subordinata. Ora questo coacervo d’individui, non risolto che sia, non presuppone nessuna unità, che non sia meramente immaginaria od accidentale: il “popolo sovrano”, quanto per rifarci nel dominio umano, ad un’espressione usitata ed abusata presa dalla vita pubblica. La cosiddetta “volontà popolare” sarà il risultato meramente numerico, quantitativo, ed accidentale, di un coacervo insussistente d’insussistenti, o piuttosto, come già dicevamo, verrà ad essere un assunto meramente immaginario, senza nessun riscontro nella realtà di fatto, coacervo che viene preso come norma direttiva della vita umana. Alla quale faranno da corrispettivo i pretesi diritti di quei singoli, assunti a loro volta per norma, correlativa o no ch’essa sia, ammesso che qui si possa dire ancora di “norma”, dato che quest’ultima debba essere in un qualche modo costitutiva, oppure almeno conservativa, mentre quei diritti individuali, mercé della loro insussistente scaturigine, saranno invece meramente dissolutivi, dato che essi provengano da un non essere, non da un essere. Va inoltre osservato, come la separazione suddetta, che darà luogo a quel conseguente ente immaginario, al coacervo d’”eguali”, viene a far posto, come anche in molti altri ambiti accessori del mondo moderno e contemporaneo, quali ad esempio le sue convinzioni cosiddette “scientifiche”, ad un nulla, niente affatto relativo. Perché il nulla non produrrà se non il nulla, sotto il riguardo delle sue conseguenze varie, fatta salva la sua inconsistenza che, rovinando in sé stessa, lascerà il campo all’essere. Il fatto è che l’”atomismo” di Democrito e di Epicuro non venne mai preso sul serio dagli antichi, lasciando il posto a dottrine di ben altro livello speculativo ed esistenziale. Ammesso che non si trattasse di un mero espediente rappresentativo, atto a fondare, ma solamente a posteriori, nel senso di una conseguenza, e non di una premessa, una morale pretesa indipendente, ad extra, quanto al mondo esterno, ma che nondimeno faceva pur sempre riferimento ad un livello di trascendenza sussistente nel dominio pubblico, tramite il contatto col sopramondo dal quale traeva in definitiva le sue leggi, com’è per Cicerone. Così come potrebbe essere anche per certe antiche dottrine indù consimili, potendo le une e le altre fungere, per assurdo apparente, da contraltare negativo di una concezione complessiva dell’uomo esulante da un mondo annichilito di natura. Culminante nel primo caso in una cosa pubblica ad esso sopraordinata ad un livello di trascendenza subordinato, nondimeno in contatto con sovramondo; nulla che abbia in effetti a che vedere con la pretesa concezione degli “eguali” assunta siccome supposito insussistente del nulla. Mentre per gli indù, potrebbe trattarsi invece dell’aspetto di nullità della profusione divina, quello per cui le determinatezze fisse esemplari, culmine dell’esistenza, come recitano taluni sapienti musulmani, “non hanno il profumo dell’essere”, dato il loro comporsi con il nulla, presupponente dall’altro canto l’essere stesso, un essere relativo e contratto, identificato a vari livelli ed in vario modo col nulla, contratto oppure puro ch’esso sia. Gli atomi null’altro sarebbero, se non l’attestato dell’aspetto della nullità dell’esistenza. Il fatto è che qui invece, nel caso degli “eguali”, non ci troviamo più immersi in quel vuoto, in quella insussistenza che il patrizio, od anche il popolano greco o romano riempivano della consistenza esistenziale della cosa pubblica, o che per il sapiente indù poteva rappresentare una riduzione all’assurdo della negazione della profusione divina nel suo aspetto di non essere, quanto piuttosto invece all’opposto, in un qualcosa di fondamentale e di costitutivo. Senza che né nell’uno, né nell’altro caso il vuoto venga ad avere un ufficio fondante, nel senso di essere produttivo di un mondo, o del mondo. In effetti il vuoto degli atomi di Democrito non li costituisce, non ha nessuna funzione esistenziale nei loro confronti, nel senso che qui essi non procedono ancora dal nulla, oppure dalla materia prima, all’essere. Non volendo qui noi considerare il senso delle dottrine esiodee, per cui l’essere ordinato veniva a prodursi dal disordine informe preteso primordiale, trattandosi forse di un residuo di precedenti tralignamenti esistenziali, con il loro riscontro dottrinale, i quali avevano portato, dall’eminenza originaria, al tralignamento di cui Platone, la Bibbia, ed il Sacro Corano, e le tradizioni dei popoli antichi. È del tutto consequenziale dunque, il fatto, che in quel vuoto preteso primordiale, in quanto elemento fondante e costitutivo, siano inserite ed immerse, venendone come impregnate, le varie particole dell’eguaglianza umana, quand’anche ad esse si pretenda di dare, in un senso affatto simile, un significato meramente corporeo, siccome di mera assenza di materia, come nelle moderne scienze della natura, invece che di sostanza umana, com’è invece nel primo caso. Il fatto è che, sia nell’uno, sia nell’altro dei due casi suddetti, non saremo più alla presenza di quel nulla relativo sussistente, da definirsi solamente quanto a degli esseri relativi e definiti anch’essi, ma invece dinnanzi alla pretesa di un nulla puro, assoluto, almeno per supposito e congettura mentale, la quale viene poi arbitrariamente proiettata nell’esterno dell’esistenza, a dispetto della sua mancanza di sussistenza, com’è per altri assurdi. Tenendo peraltro anche conto, del fatto, che il nulla non esisterà di per sé a nessuno dei livelli dell’esistenza creata, corporea o no ch’essa sia, non essendovi se non gli esseri, che li faranno pregni della loro stessa essenza definita, particolare od individuata che sia, senza un nulla che venga a frapporvisi a modo d’interstizio, e senza neppure in nulla, com’è che osserva inoltre Molla Sadra, che abbia ad inserirsi come soluzione di continuità tra i vari livelli dell’essere. Stando così le cose, ad un singolo livello dell’essere il nulla sarebbe in effetti assenza non dell’essere di quel livello, ma dell’essere stesso, dato che a quel livello quell’essere sia l’essere, senza pretendere che lo si sia riempito dal di sotto o dal di sopra, dal nulla o dall’essere. Dato che ogni mondo abbia ad essere di per sé, pur senza prescindere dalla profusione divina che prende il posto, di per sé e con le sue produzioni, dell’inconsistenza assoluta del nulla, che le cede il passo: l’essere è, il non essere non è, per dirla con Parmenide. Ora in questo modo, come dicevamo, siano essi particelle corporee, od individui umani, oppure le cariche elettriche della “nuova” scienza, umana e naturale, in realtà vecchia come l’inferno, anche se giammai primordiale, in particolare quella dei conduttori deboli e delle relative correnti, all’origine di tanti presenti abomini, essi se ne stanno immersi in questo nulla, sguazzandovi a caso, come le particole indivisibili, gli “atomi” di Democrito. Essendone questa, siccome già dicevamo, la realtà di fondo costitutiva. Di proposito diciamo “fondo”, senza riferirsi ad alcunché di superiore, come un culmine od un fastigio di superiore scaturigine. In questo fondo in effetti galleggiano, dissoluzione pura di una mera privazione d’essere, com’è per Hegel quanto alla pretesa “mente divina” prima che creasse il mondo, le particole degli “eguali”, non solo quelli di Babeuf. Essendo questo loro ambiente non un luogo avventizio, ma una pretesa insussistenza costitutiva, che potrà darsi senza di loro, ma senza che essi possano invece darsi senza di questa. Lo spazio era ancora per Aristotele un accidente locale, insussistente di per sé stesso, senza giungere in nessun modo a nessuna sostanziazione, tanto che egli giungeva correttamente, grazie a quest’assunto, a negare il vuoto, sempre di per sé, non come astrazione mentale, l’unica realtà che gli competa. Ora abbiamo invece una pretesa sostanziazione, che come si ribella, pretendendo di farla da sostanza invece che da accidente, come invece le competerebbe nella realtà delle cose, eccettuato il caso dell’astrazione mentale. Quello che Kant reputava errore di sostanziazione quanto alla sussistenza di per sé stessa dell’anima umana, era dovuto al fatto di non accettare la facoltà di visione presenziale trascendente, riducendo l’uomo alla sensibilità con l’appendice razionale. Rifiutando inoltre i livelli sopraordinati dell’essere, anche sotto il riguardo argomentativo, per poi sostanziare lo spazio tra le forme sussistenti a priori della sensibilità previe alle sue cosiddette “categorie”, sostanziandolo così indebitamente ed arbitrariamente, nel modo suddetto, vale a dire, anche qui nella guisa di un antecedente costitutivo degli esistenti. Questo a dispetto delle apparenze, o delle pretese prove sperimentali in contrario, che pretenderebbero di presentarci lo spazio vuoto della scienza di Newton, mutuata da quelle astrazioni numeriche galileiane, le quali finiscono col confondere l’astrazione mentale, le “intentiones secondae” degli scolastici, sia pure con un loro fondamento nella cosa stessa, con la trascendenza, che libera invece dai limiti dell’insussistenza corporea nullificante. Diciamo di un vuoto, il quale in realtà al nostro livello dell’esistenza non sarà se non nulla, dato che esso ne neghi la realtà, senza nessuna comunicazione, almeno velleitariamente, con i livelli sopraordinati dell’essere, del significato, della dominazione, e della potestà, tanto per attenerci ai rispettivi termini arabi “ma°anā”,“malakūt”, e “jabarut”. Dato che in ogni caso, la negazione ne significherebbe il trasporsi o nell’essere o nel nulla, coi loro annessi. Questo vuoto sarà in definitiva quello delle “acque inferiori” dissolutive, in tutta la sua insussistenza, sia pure nella presenza di un qualcosa del quale esso pretenderebbe di fare le veci, vale a dire, di una materia non prima, di per sé insussistente, ma ancora formata, vale a dire essente di per sé stessa ad un livello infimo. La quale verrà ad identificarsi con il presunto spazio, in questo modo non più vuoto, ma invece pieno di qualcosa, a prescindere dalle forme ulteriori, di un fondamento non produttivo, ma nondimeno a suo modo necessario Che questo vuoto sarebbe poi, secondo questo modo di vedere le cose, il preteso e presunto fondo generativo dell’universo, ce lo dicono non soltanto le elucubrazioni contemporanee su stringhe o membrane, che vibrano, sempre nel preteso vuoto, producendovi le particelle elementari, nucleari e subnucleari. Valendo a questo punto la pena asserire che il vuoto così le produrrebbe in ogni caso direttamente, senza nessun intermediario dissolutivo formale, nel senso di mere forme inferiori sul limitare dell’indefinitezza. Ma anche il fatto che, in questo modo, la fluttuazione esistenziale degli enti, delle particole create, a prescinderne dal mero modificarsi formale, non farà appunto se non dissolverle in quel presunto vuoto primordiale che ne sostiene le forme, a prescindere dagli enunciati classici di Galileo e Newton, che non se ne ponevano la questione. Per dissolversi nell’onda quantistica di probabilità, con l’introduzione dell’”operatore di annichilazione”, e della cosiddetta ”antimateria”, che non avranno peraltro se non il significato di meri artifici di calcolo. Dicevamo tutto questo, a dispetto del fatto che si tratterà pur sempre in realtà di un vuoto nel senso di una materia prima formata, come dicevamo, da identificarsi con lo spazio, discendente nel verso delle cause superiori antecedenti, non ascendente a procedere dal nulla puro. Per non dire dei vuoti di carica dei conduttori di correnti deboli, all’origine di tutti i marchingegni contemporanei nel campo delle comunicazioni, che vanno ben oltre la mera assenza di cariche elettriche, che non sostituiscono in effetti con alcunché. Dicevamo dunque, un vuoto primordiale, quale quello che è all’origine del mondo nella Scienza della Logica di Hegel. Tutto questo nel campo delle cosiddette prese scienze di natura, sulle quali ci sarebbe molto altro da dire. Ma per quel che riguarda invece la condizione umana? Anche qui avremo gli “eguali”, quelli della Rivoluzione Francese, uno dei termini della trinità secolare dei suoi vessilli insanguinati. Ed è qui che il nostro discorso andrà completato. Nel senso che, come dicevamo, il vuoto, od il nulla puro, o la materia prima, oppure l’essere semplice indefinito, nella loro gradazione dissolutiva, verranno a farla da termine e da principio, cosi come da sostanza e da supporto, della generazione, della dissoluzione e della sussistenza degli esseri. Sarà rimarchevole, a questo medesimo riguardo, che con ciò, contrariamente all’opinione corrente, non s’introdurrà se non un assurdo puro e semplice, che pure la fa da padrone nelle presenti convinzioni mondane. Contrariamente alla dottrina dell’Identità Principiale dell’essere, e della sua discesa creativa, e dell’ascesa iniziatica, qui si avrà invece una produzione dell’essere, o degli esseri dal nulla, nel senso suddetto del suo vario graduarsi. In effetti, nulla di nuovo sotto il sole, essendo questa l’antichissima, anche se non primordiale, come invece pretenderebbero taluni, dottrina framassonica, anche se non stiamo qui a chiederci quand’è che abbia fatto la sua comparsa formale la Framassoneria in questo nostro basso mondo. La dottrina appunto dell’ascesa, dell’evoluzione creativa dalla materia o dal nulla, il “nulla eterno” del Foscolo, della dualità che pretende d’opporsi al mondo celeste, del Signore della voragine infernale, che si arroga in tutta velleità il diritto di creare, così come tanti, o tutti gli altri diritti, contrapponendosi pretestuosamente al Signore Celeste dell’essere. Di Cui egli pure non è se non una mera produzione, infima tra gli infimi, al Quale tenta di opporre la sua pretesa creazione, che tale non è, né tale sarà giammai. È la piramide tronca, che ascende dalla sua superficie inferiore, dalle acque corrosive, negando il vertice autentico, il culmine e principio trascendente, è la pretesa, in vario modo giustificata, di fare da sé, anche ricorrendo ad un Dio ozioso, per i Mutaziliti, od inflessibile per Protestanti ed Ašariti, in definitiva contro la natura propria. È la dualità e la pluralità scambiata per libertà, persino in divinis, secondo l’assunto degli eguali, considerata in quanto tale “più democratica”, niente meno, come se non ci fosse libertà se non nell’essere. Sarà rimarchevole, a questo medesimo riguardo, la varietà delle dottrine che portano a questo medesimo risultato di fondo, da quelle di protestanti ed ašariti, nella loro accentuazione della trascendenza divina, che le fa in definitiva perdere il contatto con il mondo creato, alle varie concezioni dell’immanenza, dal Rinascimento in poi, sino agli illuministi ed alla “Dea Ragione” della Rivoluzione Francese. Coi Mutaziliti nel mondo islamico, con la loro dottrina della rinunzia e della delega divina e favore dell’uomo, reso così “emancipato”. Ora, quello che andrà rilevato a questo medesimo riguardo, sarà che il nulla niente ed in nessun modo potrà produrre, il medesimo assunto valendo per i suoi successivi suppositi, vale a dire, l’essere indefinito e la materia prima. La creazione sarà tale in quanto profusione della pienezza dell’essere, non dell’indigenza esistenziale inferiore od infima, vale a dire, del nulla puro. Niente di tutto questo, trattandosi di un assunto affatto infondato, ed arbitrario, non avente nessun riscontro nella natura delle cose, né nei principi dell’intelletto. Sarà a questa medesima stregua che, nei confronti del nulla, o chi per esso, con la sua velleitaria produzione, le determinatezze dell’esistenza verranno ad essere tutte quante eguali, dato che il nulla niente possa largire, laonde saranno un “uno” invertito, annichilito, e caricaturale, come una maschera carnevalesca, in definitiva del tutto identico a quel nulla dal quale pretenderebbe di procedere. Saranno dunque “eguali”, appunto perché in definitiva, sotto questo medesimo riguardo, saranno solamente nulla, e nient’altro. Gli eguali sono dunque insussistenti, sicché la pretesa dei rivoluzionari francesi di fondare su di essi un nuovo, o vecchio mondo, secondo i punti di vista, vale a dire, dell’origine o del termine, si rivela così affatto immaginaria ed ingiustificata. ”Tutti sono uguali davanti alla legge”, perché in effetti non esistono più leggi, vale a dire leggi autentiche, come avevamo già visto in precedenza, quanto all’informe pretesa legge di natura, così come quanto a quelle dell’arbitrio umano, assunto per norma superiore o suprema. Ma una cosa saranno quelli che si equivarranno proporzionalmente, senza essere eguali, sottostando ad un principio superiore personificato, tramite della produzione e della finalità divina. Nei confronti del quale, vale a dire, dell’ascesa esistenziale attuativa trascendente, verranno ad esservi più vie, così come recita il Sacro Corano, già sopra citato, come anche ci è stato tramandato dalle narrazioni, per cui le vie ad Iddio Altissimo, somma Ne sia la lode, sono pari al novero degli aliti delle creature, secondo quanto già dicevamo. Ed una cosa a sé sarà quella pretesa eguaglianza di un astratto insussistente nei confronti di un astratto insussistente, che si riflette nelle pretese leggi d illuministe e post illuministe, tra l’altro nella negazione di quelle varie realtà articolate che, con i loro diritti particolari, sono pur sempre sottoposte alla legge, così come alla persona che, in vario modo ed a vari livelli, la incarna. Tanto che il tutto si ridurrà a privilegi meramente personali, contro quella pretesa eguaglianza davanti alla legge, conferito grazie a brighe ed abusi vari. Sarà necessario qui nuovamente osservare, che a rigore a questo proposito non andrà considerato l’individuo, ma la persona umana, essendo quest’ultima sottoposta a tutto un insieme d’articolazioni comunitarie, prolungamento della sua sussistenza, a vari livelli d’inclusione. Sarà qui che si renderà opportuno e necessario un chiarimento ulteriore, dovuto appunto alla distinzione tra l’indigenza d’essere dell’individuo, e la ricchezza esistenziale profusiva della persona, in quanto tramite della discesa della trascendenza. Dicevamo che il rapporto di separazione tra gli enti dei livelli inferiori dell’esistenza sarà meramente mentale e fittizio, dato che ne sia la velleitaria estrapolazione dall’eminenza inclusiva dei livelli superiori dell’essere. Ma l’essere umano, così come tutti gli enti di natura, sarà inserito, non certo accidentalmente, in un articolarsi distintivo d’essere che concorrerà a definirlo. Com’è che starà dunque la cosa quanto ai rapporti suddetti? In quale caso il rapporto sarà immaginario od accidentale, quale invece sarà esenziale e reale? Perché i suddetti rapporti potranno essere o, reali o mentali. La distinzione dovuta alla finità di un ente lo porrà sempre ed essenzialmente in rapporto ad un altro ente, questo è scontato. Ma dato che l’ente stesso venga estrapolato nella sua pretesa eguaglianza riduttiva di poc’anzi, che ne rimarrà dunque della sua distinzione? Non ne resterà niente. Questa distinzione verrà ad essere per mero assunto mentale, non essendo per nulla effettualmente. Un’astrazione siffatta, con tutti i suoi annessi, non avrà nessuna sussistenza effettuale, com’è che già avevamo detto in precedenza. Sarà a quel livello dell’”individuo”, dell’”atomo”, vale a dire, della specie indivisibile, equivoca ed inadeguata, che andrà dunque riferita l’insussistenza di quei rapporti, in quanto meramente mentali ed immaginari. Mentre il loro articolarsi quanto a contenuti d’essere effettuali li definirà anche comunitariamente in modo inscindibile, questo a vari livelli d’inclusione, dando dunque una realtà, vale a dire, un’unità, a quel loro articolarsi comune. Sarà dunque che, nel primo dei due casi suddetti, non avrà nessun senso la cosiddetta “volontà popolare” delle pretese “democrazie”, o piuttosto, delle democrazie liberali, dato che la volontà abbia a qualificare una persona, vale a dire, un essere, l’essere mano nella sua inclusione o reale o virtuale che sia, del suo livello d’’esistenza, come osservato da Molla Sadra, e ribadito da Guenon. Laddove invece l’individuo non avrà nessuna volontà, ogni asserto in contrario a questo riguardo risultando meramente velleitario ed inconsistente. Dicevamo delle cosiddette “democrazie liberali”, perché a dire il vero, il termine “democrazia” non andrebbe a rigore ristretto ad esse, andando ad includere anche altre forme di governo, quand’anche esso venga assunto, com’è risulterà poi corretto, in senso platonico, non in un senso solo equivoco. Il fatto è che sia i fascismi, sia i comunismi furono democrazie, “popolari” questi, “nazionali" quelli, come sostenuto correttamente da taluni autori, a prescindere dall’appoggio della maggioranza della popolazione, che peraltro quelle nazionali poterono quasi sempre vantare, quelle liberali invece no. Laddove nel caso dell’articolarsi personale, comunque esso sia, si avrà un’unità comunitaria, e sopraordinata per un verso, ed inerente per un altro verso alla realtà personale stessa, scaturigine divina che ne verrà a dare anche un significato alle deliberazioni collettive, a differenza del caso precedente, nel senso che queste scaturiranno da quella che potrà essere a buon diritto considerata siccome l’anima, o meglio le anime collettive del popolo, intesi l’una e l’altro nel senso esistenziale suddetto, mercé della scaturigine superiore. Volontà sopraordinata ed immanente, la quale sarà in realtà una scaturigine superna, da quel livello eminente centrale, ai vari livelli dell’esistenza creata, impersonificato dalla realtà inclusiva dell’Uomo Perfetto, tramite della processione creativa dei vari livelli dell’esistenza, e realtà stessa, come avevamo già chiarito di sopra per quel che concerne i vari livelli trascendenti dell’essere, delle realtà frammentarie e subordinate delle immagini di natura. Sarà questo il senso dunque del vario associarsi umano, sussistente e non arbitrario che sia. Nel medesimo senso per cui l’Uomo Perfetto sarà anche universale, com’è stato peraltro erroneamente tradotto l’arabo Insān Kāmil, mercé della sua perfezione semplice, eminentemente inclusiva della sua profusione, avendo egli, dunque nei confronti del suo medesimo livello d’esistenza, una funzione simile a quella della trascendenza nei confronti dei vari livelli trascesi, nel senso dunque di una sorta di trascendenza immanente ed inerente. Sarà così che, a rigore, la singola persona, così come anche ogni singola realtà, avrà in linea di principio il suo essere in quel suo fastigio efficiente, che gli sarà ingiunto di realizzare nell’ascesa iniziatica. Il quale culmine verrà dunque ad avere così per pieno diritto l’incombenza, preconizzata dalla dottrina platonica, realizzata eminentemente e pienamente nella Rivelazione Divina e nel Messaggio dei Suoi Nunzi, del governo degli uomini, scaturendone quella legge essenziale costitutiva, la quale regola tutto l’universo creato. Sarà in questo stesso modo che, da quest’eminenza ed eccellenza, scaturiranno i vari gradi esistenziali, nella fattispecie quelli di questo nostro basso mondo, di questo nostro livello dell’esistenza, con tutta una serie di tramiti successivi, fondati e sulla distinzione degli esseri, e sulla loro unità a vari livelli, nel senso che dalla seconda proverrà successivamente la prima, valendo il medesimo discorso anche per le articolazioni entro ogni singolo livello. Laonde sarà in questa stessa guisa che quell’apparente associarsi in vario modo verrà a prendere senso e consistenza, non certo sotto il riguardo delle specie indivisibili, degli individui “eguali”, o presunti tali. Quello che qui vogliamo sottolineare, applicando questo discorso all’ambito pubblico e sociale, è che in una società ordinata nel verso e sotto il riguardo dell’essere, avrà senso pure quella volontà comune velleitariamente millantata di liberali. I quali se l’arrogano in esclusiva, seppure senza avervi nessun diritto, estrapolandola da una mera insussistenza, astrazione di un’astrazione, nulla di un nulla. Volontà a cui, nella sua varia inclusione esistenziale comunitaria, sarà subordinata quella singola, essendo essa a sua volta sottoposta all’eminenza dell’Uomo Perfetto, Vicario in terra d’Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, oppure del suo rappresentante visibile, se l’Uomo Perfetto, com’è nella dottrina imamita, ci è al momento occulto. Ed è così che non sarà da menare scandalo dall’elezione di un consiglio consultivo islamico, secondo quanto recita lo stesso Sacro Corano, III, 159, che a rigore sarebbe soltanto tenuto a rivolgersi a chi gli è preposto, fattane salva la delega. Vale a dire, a colui a cui spetta l’incombenza del governo della comunità, attuandone la volontà che egli include eminentemente nella sua persona, nel senso di attuare mediatamente quella divina, la cui legge sarà tenuto ad applicare, conoscendola ed interpretandola senza nessun arbitrio. Tenendo conto del fatto che, nello stato presente d’occultamento dell’Uomo Perfetto, la cosa non potrà essere compiutamente, ma andando riferita alla sua persona vicaria, sia pure nelle sue inevitabili manchevolezze, quella sostanza comunitaria che egli rappresenta per volere divino, senza che essa abbia dunque ad essere lasciata a sé stessa, ridotta che sia così, in questo modo, obliterata che ne sia quella necessaria mediazione, ad un mero coacervo insussistente d’individui insussistenti, da cui verranno soltanto abomini. Al contrario di quello che avviene nel cosiddetto “stato di diritto” dei liberali, da loro tanto esaltato, con l’arbitrarietà aleatoria delle sue presunte leggi, approvate senza nessuna nozione di causa da congreghe di presunti “eguali”, ignoranti ed imbroglioni, eletti a loro volta da “eguali”, vale a dire, il nulla del nulla, dal nulla del nulla. Leggi che avranno dunque la stessa sostanza insussistente di chi le produce a iosa, sena poterne dare nessuna ragione, se non quelle accidentali, o quelle dell’astrazione immaginativa, riferita sempre al medesimo coacervo insussistente di pretesi “eguali”, e nulla più. Sarà da osservarsi a questo medesimo riguardo, com’è che in quest’ultimo caso, oltre ad aversi un mero arbitrio individuale mascherato da “diritto”, si avranno inoltre pretese “istituzioni”, istituite non si sa come da chi. Vale a dire, le tanto esaltatene “istituzioni democratiche”, quali quelle della nostra sventuratissima repubblica, nate dalla “resistenza”…ai vinti, e fondata sul “lavoro”...altrui, che non avendo una scaturigine personale, andranno riferite a tutt’altra fonte, da ricercarsi molto più in giù ancora del suo già basso livello d’esistenza. Escludendo dunque quella dall’alto, palesemente rifiutata, senza che a questo suo grado dell’essere s’abbia a rilevare nessun agire volontario, data l’inconsistenza esistenziale sia di quegli individui con i loro aggregati, sia di quanti eleggono, vale a dire, tanto la pretesa “volontà popolare”, quanto quella di quanti vengono da essa eletti, andando dunque l’origine mediata dei loro atti, del loro volere, e della loro sostanza ricercata altrove. Pur sempre fatta salva l’efficienza divina, immediata per quello stesso tramite causale. A questo nostro livello d’esistenza s’avranno i cosiddetti “poteri forti”, dei quali oggigiorno tanto si va ciarlando del tutto a vanvera, niente capendone. In passato, nell’Atene mercantile di Platone, così come anche nella Firenze usuraia di Dante, si avevano, con più evidenza, quei capipopolo, ovverosia i “demagoghi”, che blandivano, al fine del loro potere, la bassa concupiscenza della plebe, da intendersi qui sotto il riguardo della stazione umana, non del censo, preparando la via all’oppressione arbitraria di un singolo, del “tiranno”. Si trattava lì dunque di singoli, non di gruppi. Ai nostri giorni abbiamo invece i cosiddetti “poteri forti”, almeno come causa prossima, nozione introdotta dal sociologo tedesco Karl Schmidt al tempo del governo nazionalsocialista in Germania, donde il discredito che si tenta di gettare sulla sua figura. Che sono gruppi ed associazioni varie: gruppi sionisti come l’Aipac negli Stati Uniti, mafia, specie ai suoi livelli più alti, Framassoneria, potentati finanziari ed industriali, congreghe di asseriti consiglieri autorevoli, solo assai sfumatamene singoli, com’è che invece accadeva in passato. Si porrebbe peraltro, a questo medesimo riguardo, la stessa difficoltà che si poneva in precedenza per la pretesa e presunta cosiddetta “volontà popolare”: com’è che potranno sussisterne, al loro livello subordinato d’indigenza esistenziale, la volontà e l’efficienza, trattandosi pur sempre di meri aggregati d’individui? Sarà qui da considerarsi una circostanza assai importante, la quale finirà col coinvolgere quella stessa suddetta “volontà popolare”, di cui avevano mostrato tutta l’inconsistenza sotto il riguardo dell’essere. Si tratterà di rilevare, a questo medesimo riguardo, in che senso si potrà asserire l’esistenza, non la mera inesistenza, di quelle che verranno ad essere pur sempre a loro modo delle realtà. Riferendone la scaturigine alla loro causa mediatrice, donde per suo tramite verranno a loro modo a riferirsi a quella che ne sarà pur sempre la causa superiore immediata, sia pure esplicandosi per il tramite di una siffatta concatenazione apparentemente mediante di causa ed effetto, quantunque nella sua scaturigine principiale immediata. Trattandosi dunque del fatto, che quelle suddette saranno solamente efficienze apparenti, aventi una loro scaturigine più profonda, luciferina, radicata in quelle inautentiche personalità infere dotate non d’intelligenza, quindi non di volontà, ma loro contraffazioni invertite, che la imitano contraffacendola, nel verso della dissoluzione inferiore e del nulla puro. Come appunto risulta dal detto dell’Imam Ja°far, la pace su di lui, quando venne richiesto che cosa fosse l’intelligenza, e se fosse tale quanto a Muhawia. Ora questa scaturigine, a suo modo efficiente e finale, ma pur sempre subordinata all’efficienza ed alla finalità divine, finisce col dare a quegli aggregati esterni, com’era per quelli orientati nel verso della trascendenza, una sorta di spirito collettivo, il che ne farà i loro agenti per eccellenza, essendo lo spirito suddetto contraddistinto da un grado superiore di dissolvimento esistenziale, nel verso appunto dei domini inferi dell’esistenza. Spiccando tra questi enti collettivi quel giudaismo degenerato, immemore della propria autentica tradizione, ridotta ad una contraffazione luciferina dei segni attuativi divini, troncato il contatto con i domini superiori. Avviene dunque che, in questo medesimo dominio esistenziale dissolutivo, verranno a stagliarsi indeterminatezze collettive larvali, contraffazione invertita delle unità trascendenti, che pretenderanno di farla da scaturigine di quelle entità a loro volta debilitate e corrosive, con tutte le loro nefaste influenze medianti. Tutto questo nel senso in cui, nell’identità processiva di essere e nulla costitutiva del mondo creato, il nulla verrà a farla velleitariamente ed illusoriamente da padrone dell’ente, vale a dire, del nulla relativo. Influenzando in questo modo un “popolo” inesistente, non più materia formata ricettiva di forme superne che lo foggino a loro volta, tanto da renderlo per ciò stesso il più delle volte reattivo ad ogni sovvertimento, come avveniva in passato, ma nel senso del coacervo insussistente di “eguali”, che pretendano di darsi un essere. Dandolo a loro volta, mediante la pretesa “volontà popolare”, a quegli inconsistenti e caduchi parlamenti d’ignoranti e di presuntuosi da loro eletti, che s’arrogano il potere di legiferare. È rimarchevole peraltro come che il Sacro Corano raccomandi sì la consultazione a quel medesimo Nunzio divino che pur non ne aveva bisogno, a modo di comportamento esemplare da seguire dagli uomini comuni, vedi anche, oltre al verso sopra riportato, XLII, 38. Nondimeno condanni nel modo più reciso, senza eccezioni di sorta, come invece pretenderebbero pretestuosamente taluni quanto alla comunità dei credenti, il principio aberrante della “maggioranza”, su cui si fonderebbe la volontà popolare, VI, 116. Dov’è da rilevarsi in primo luogo che, mercé delle norme della lingua araba, la “maggioranza” in quel verso andrà intesa nel senso di una maggioranza qualsivoglia, non di quella di tutti gli uomini che vivono sulla terra, il che peraltro non avrebbe nessun senso, nel significato di quei gruppi che s’arrogano, in tutta la loro ignoranza, il diritto superiore d’inventarsi la legge, senza nessun principio superiore. Tanto che l’Imam Ķomeinī affermò che avrebbe resistito da solo contro tutti, in caso di violazione della Legge Divina. Essendo anche da osservarsi che tutti i disastri e gli abomini che hanno coinvolto la Comunità dei Credenti, con tutto il genere umano, sono da ricondursi a quell’arbitrio indicibile che la coinvolse, allorché nella famosa Şaĥīfaħ venne eletto un successore dell’Inviato d’Iddio Altissimo contro i suoi ordini e le prescrizioni del Libro Divino. Abuso che ha portato ad altri abusi, tanto che taluni rinnegano la religione prostituendosi a Lucifero, nella pretesa d’interpretarla a loro modo, com’era stato peraltro in generale proibito. Ora dunque, nella prospettiva trascendente e divina, l’universo tutto, ivi incluso quello corporeo, sarà variamente animato, nel senso di trascendere il mero aggregato di enti separati e separabili, la cui consistenza sarebbe meramente immaginaria, tanto che nel sacro Corano si recita che se Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, non desse loro vincoli, vacillerebbero annichilendosi. Dove la “terra”, in quel verso medesimo, va intesa nel senso generale di sostanza esistenziale, così il termine che viene comunemente tradotto come “montagne”, andrà inteso nel significato generale di “vincoli”, S.C. XXXI, 10. Il popolo verrà a ridursi invece nell’altro verso, precluse che gli siano state le vie dell’ascesa, delle quali Egli è detentore, LXX, 3, ad una congrega infima, dissolutiva nel verso infero, come un residuo esaltato da un’anima ed una volontà luciferina, com’ebbe ad osservare acutamente Guenon, nel modo di quei traditori di cui dice Dante nel Cocito, nell’infimo dell’inferno. In conformità di quello che l’Imam Ja°far ci dice di quel punto bianco sito nell’anima umana, via via annerito dai peccati, alla cui scomparsa non v’è rimedio. Donde una collettività meramente numerica, che s’articolerà illusoriamente, pretendendo persino di darsi da sé delle “istituzioni” e dei “diritti”, specie dei singoli, com’è poi conseguente che sia, come già dicevamo, istituite e stabiliti in definitiva da nessun altro se non da Lucifero stesso. Dove e l’aspetto controiniziatico di apertura ai segreti dissolutivi inferi sarà mediato da insiemi di esponenti del suo “partito”, che si raggruppano per seguirlo, di coloro che si sono presi per capi quelli con cui Iddio, sia benedetto e glorificato, è adirato, S.C., LVIII, 19, opponendosi velleitariamente al “Partito d’Iddio”, V, 56. È questa la “società aperta” del sionista Popper, foraggiato per sua stessa testimonianza da quella “Fondazione Rockfeller” che è un dei “poteri forti” di cui sopra, vale a dire, di quei gruppi che danno consigli più o meno larvati, ma in realtà ordini autentici, nel verso del conseguimento del “libero mercato”, ma solo per loro, e della “democrazia”, o “libertà”, sempre solo per loro. Società aperta verso l’Inferno, chiusa alla trascendenza divina, contrapposta a quelle società “chiuse” di Platone, di Hegel, di Marx, apparentemente senza nessun rapporto tra loro, se non nel delirio dell’autore suddetto. Ma per un certo altro qual verso, non verrà a trattarsi di sole apparenze. Platone sarà certamente irriducibile a Marx ed a Hegel, in quanto il suo mondo sarà quello tradizionale della Rivelazione Divina, aperto non ai mondi inferi, ma alla Sua profusione ed alla Sua conoscenza costitutive. Di Hegel avevamo già detto in precedenza, della sua velleitaria produzione del mondo dal nulla preteso della presunta mente divina. Soltanto che negli assunti iniziali della sua Scienza della Logica, il nulla appare soltanto secondariamente siccome identico ad un essere primario infimo ed indefinito. Questo in tutto contrasto, a nostro modesto avviso, con le schiette dottrine framassoniche, che preconizzano all’origine una voragine, l’”abisso”, meramente dissolutiva. Nel mentre la concezione hegheliana richiamerebbe più propriamente quella esiodea del disordine, del “caos” preteso primordiale, forse sa riferirsi, cosi come quella framassonica, a concezioni degenerative del mondo atlantideo,ed antidiluviano, e di antichissime civiltà tralignate di cui nelle varie tradizioni, com’è che avevamo appunto già detto in precedenza Hegel, fu tra l’altro nemico giurato della pretesa richiamarsi alla “volontà popolare”, che sarebbe poi sfociata nel successivo liberalismo, alla quale opponeva il preteso fastigio pubblico del suo contemporaneo regno di Prussia, unità e contemperamento di singolo e di comunità, come risulta dalla sua Enciclopedia delle Scienze Filosofiche. Andando a nostro modesto avviso egli accostato più propriamente a quelli che sarebbero stati i successivi movimenti fascisti, sviluppatisi circa un secolo dopo la sua scomparsa. In effetti, nel fascismo e nel nazionalsocialismo si ebbe un tentativo di superamento delle magagne contemporanee, con un loro slancio verso l’alto, oltre e contro l’”individuo”, affatto rimarchevole, ma proveniente non dall’alto, ma dal basso, come di chi pretendesse di volare solo saltando, come i polli, non con le ali, come le rondini. Mancando in definitiva un riferimento alla Rivelazione ed al sopra mondo, fatto salvo il nobile tentativo di Cornelio Codreanu in Romania, con la sua “Legione dell’Arcangelo Michele”, significativamente prodottosi in ambiente ortodosso, non cattolico o protestante. Laonde quel salto finirà col rovinare inevitabilmente in sé stesso, ma senza andare certo confuso con le magagne e gli orrori del liberalismo e del liberismo integrali odierni, proiettantisi dal dominio amministrativo, a quello produttivo, a quello morale, ai quali ebbe anzi il coraggio di opporsi recisamente Perché la sua pietra di fondamento era ancora l’essere, non il nulla puro, com’è invece per le concezioni liberali, e fra massoniche e per le loro applicazioni, sfociando nel rifiuto dell’insussistenza dell’”individuo” e degli “eguali”. La cosa è evidente nel nazionalsocialismo, che non fa che estrapolare una delle identità comuni superiori di cui sopra, quella razziale, di un caso particolare delle quali fa menzione peraltro anche la Bibbia nel libro di Tobia, che sarebbero le anime, vale a dire, gli “angeli dei popoli”. Alla quale cosa fa riferimento in modo complessivo anche il Sacro Corano, VI, 38, che riferisce ad Iddio stesso, sia magnificato ed esaltato, quelle Comunità, in arabo “umum”, plurale di “ummaħ””, a cui tutti gli esseri inevitabilmente appartengono. Avendo in arabo il vocabolo “ummaħ” lo stesso senso di “matrice”, e la stessa radice di “madre”, il che va a richiamarsi al beneficio divino, alla “raĥmaħ”, avente significativamente anch’esso la stessa radice di “raĥim”, “vulva”, nel senso della mediazione creativa strumentale sottoposta a Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, nella sua natura di purità femminile del tutto passiva e ricettiva nei Suoi confronti. Donde nell’Islam la grande importanza attribuita ai rapporti generativi comuni, da riferirsi alla stirpe, secondi solamente a quelli spirituali, della religione, più propriamente ed eminentemente trascendenti. È in questo caso come se, divelti illusoriamente i legami operativi, anche se non esistenziali, con la trascendenza divina, permanga nel corpo degli aggregati umani come un fluido, di cui non si sappia dare ragione: una “razza” da riferirsi ad un corpo ed alla sua vita, entro certi limiti reale, quantunque in definitiva mal definita, ma che non va assolutizzata, com’è successo invece nel nazionalsocialismo, non andando confusa con quelle “razze spirituali” conformi ad un modello trascendente, delle quali tratta invece Evola. Oppure uno stato assunto di per sé, come nel fascismo italiano e spagnolo, una sorta di dio insussistente, nei cui confronti la religione, in questo caso il Cattolicesimo Romano, andrebbe assunta siccome mero “instrumentum regni”, nella maniera del Machiavelli, mancandogli in definitiva una ragione sufficiente della sua predominanza esistenziale. Avendosi peraltro soltanto nelle concezioni del Codreanu, come dicevamo, un superamento di questi difetti. Essendo così che, in una sorta di gara tra gli errori del mondo moderno e contemporaneo, ai movimenti fascisti, seppure con tutti i loro limiti e le loro magagne, andrebbe assegnato il primo premio, sotto il riguardo della dignità esistenziale, non dell’errore. Per la loro maggiore vicinanza, o meglio, minore lontananza alla concezione tradizionale, vale a dire, al mondo della Rivelazione Divina, esemplificata qui, nel caso degli assunti di Popper, con Platone. Dov’è da rilevarsi che, come dicevamo, qui non si parte mai dall’”eguale”, si tenta anzi di trascenderlo già all’inizio, non facendosene subito risucchiare dalla nullità. Il che salva le suddette concezioni dal preteso non essere primordiale, che esse si sforzano anzi in qualche modo di superare, adoperandosi per dare all’essere umano un qualche orizzonte trascendente, ma senza avere mai chiara la questione del contatto col dominio superno divino e con la sua Rivelazione, che terranno anzi contraddittoriamente in non cale. Vengono poi le concezioni comuniste o socialiste, più in particolare quelle marxiste, senza peraltro volerle confondere. Ci troviamo qui in genere di fronte ad alcunché di meramente materiale, ad elaborazioni razionali e fini orientati in tal senso, nel verso dunque della materia, formata o no che sia. Sembrerebbe a prima vista, ad essere sinceri, che la sostanza dei movimenti precedenti, nella sua insussistente generalità, debba addirittura avere un grado inferiore a quello della materia, nel verso dell’avvicinamento al nulla puro. Solamente che quell’essere indefinito andrà inteso nella sua possibilità d’inerire anche a realtà superiori, sia pure venendovi risolto senza sussistere di per sé stesso, com’è che è avvenuto in effetti quanto alle concezioni e alle opere dei vari movimenti fascisti, non solo nella particolarità materiale, limitata, che andrà da quelle distinta. Nel senso che qui intendiamo, dell’uno e quanto all’altra, la realtà immanente, invece che la mera astrazione mentale do per sé insussistente, estrapolata indebitamente siccome principio dell’esistenza. Persino la “razza” dei nazionalsocialisti sarà superiore, in questa medesima guisa, al mondo produttivo marxista, od alle pulsioni goderecce dei socialisti francesi cosiddetti prescientifici, i quali si rifacevano con ciò ad un mero limite esistenziale individuale. Dove ci troviamo per il comunismo? Ci troviamo su un limitare, siamo ancora al di qua del dominio meramente dissolutivo ulteriore, vale a dire, del mondo dei liberali e della loro “democrazia”, dove nulla sarà più come prima, dove tutto sarà assunto per venirvi travisato. Dopo che la Rivoluzione francese aveva aperto la via ad un mondo di orrori, di fatto o di principio, qui si tenta invece pur sempre di ricostruire qualcosa, quantunque di meramente materiale, sovrapponendolo all’individuo, all’”eguale”, ma non ancora in un verso completamente dissolutivo, che abbia ad accentuare all’inverosimile, fino all’inconsistenza assoluta l’eguaglianza nella separazione individua, bandendola come il supremo destino dell’uomo. Ma finendo così col fagocitare sia l’individuo, sia la persona, nel tentativo di superarli, quantunque velleitariamente, per i suddetti limiti esistenziali, non di sprofondarli nell’infimo della voragine. Perché la materia, come afferma acutamente Guenon, di per sé sarebbe chiusa alla dissoluzione, costituendo a questo medesimo riguardo un argine in un qualche modo provvidenziale, prima che le fessure di questa muraglia consentano l’irruzione finale delle orde di Gog e Magog, di cui nel Sacro Corano, XXI, 96, e nell’Apocalissi. Il fatto certo è, che la materia sarà per parte sua un qualcosa di ambiguo, non avendo di per sé nessuna consistenza, laonde dovrà volgersi od alla trascendenza divina, oppure aprirsi alla scaturigine velleitaria ed immaginaria dei mondi inferi, se dovrà darsi una qualche forma, se la forma non potrà averla da sé stessa, mercé della sua indefinitezza ed indigenza esistenziale, tertium non datur. La sua presenza sarà sempre come una sfida ed una prova, a che ci si abbia a volgere nell’uno o nell’altro di questi due versi. Laonde non mancheranno anche nei movimenti fascisti, mercé del loro aspetto materiale tutt’altro che trascurabile, aperture infere, nella fattispecie nel nazionalsocialismo, o per certi aspetti vitalisti e futuristi del fascismo italiano, per di più con tutto il suo armamentario framassonico risorgimentale. Contro quelle tendenze di cui avevamo detto dianzi, in definitiva tutt’altro che trascurabili, ma nondimeno incapaci, come dicevamo, date certe premesse errate od incomplete, d’assurgere alla compiutezza profusiva della luce divina, com’è per il dominio del Messaggio Rivelato. Dato che spetti appunto all’uomo d’aprirvisi scientemente e volontariamente, vale a dire, aprirle il cuore del suo essere, anche se in una misura più o meno compiuta, dato che gli competa quell’incombenza dell’assenso e del rifiuto, radicata nel suo disporvisi primordiale ed essenziale, che sarà l’essere del suo essere stesso. Incombenza che gli consentirà di meritarla, l’ascesa, ex congruo, come dicevano gli scolastici, vale a dire, ancora per grazia divina, non certo ex condigno, per suo merito in senso stretto. Essendo accaduto per i movimenti comunisti nelle recenti vicende umane, che al di là di là delle prime ebbrezze luciferine risolutive del rivolversi infero, che all’inizio della Seconda Guerra Mondiale si sia dato valore, seppure strumentale, proprio a quella Cristianità Orientale, vale a dire, all’Ortodossia dapprima aspramente conculcata, con tutta la sua superiorità in seno alla Cristianità contemporanea. Riconoscendovi come l’anima del popolo russo, sempre profondamente cristiano, a dispetto delle precedenti persecuzioni non solamente comuniste, ma anche del regime degli Zar, da Pietro in poi. Facendo volare in aereo su tutta la Russia, a sua protezione, l’immagine veneratissima della Madonna di Kazan all’indomani di quell’attacco tedesco, che avrebbe significativamente portato la Germania alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. E soprattutto, ripristinandovi quel patriarcato ortodosso di Mosca, abrogatovi dal primo sovrano assoluto modernizzatore, appunto lo Zar Pietro, precorritore di Mustafa Kemal in Turchia e di Reza Kan in Iran. Patriarcato oggi all’origine di quelle vicende, che pongono la Russia della variante orientale del Cristianesimo, la meno corrotta, a dispetto della sua rivoluzione comunista, dalle vicende della modernizzazione, sotto l’influenza appunto del Patriarca ortodosso di Mosca, al fianco della lotta combattuta dai credenti contro le scaturigini infere di matrice anglo americana e sionista, con il loro tentativo di sovvertimento, inversione, e dissoluzione La stessa trascorsa Unione Sovietica, seppure nel suo crasso materialismo, la fece a lungo, anche se soprattutto per inerzia, a dispetto dei suoi abusi, ed anche dei suoi orrori, da barriera provvidenziale contro i peggiori conati dissoltivi luciferini del mondo occidentale, ad essa inferiore nella scala dell’essere, ritardandone l’irruzione infera. Avendo oggi la Russia ripreso, ne sia lodato Iddio Altissimo, ad un livello ben più alto e consapevole, questo suo ufficio. Laonde oggi noi ci ritroviamo di fronte ad un’alleanza inedita tra un mondo musulmano, condotto senza nessuna prevaricazione dalla sua variante dei retti seguaci della Famiglia immacolata del Nunzio Divino, e la Cristianità orientale, la quale sembra essersi messa di nuovo a capo, da indiscrezioni pervenuteci, quell’autorità spirituale del Monte Athos, nella sua eminenza realizzativa e conoscitiva in quell’ambito, uscita dal suo secolare e sdegnoso isolamento. La quale eserciterà prima o poi la funzione direttiva che le compete anche in ambito pubblico, in primo luogo su quella Grecia, con tutto il suo significativo patrimonio di sapienza e civiltà, che aspetta solo di staccarsi dalla barbarie framassonica ed infera della famigerata Unione Europea. Per volgersi ai suoi fratelli d’Oriente, cristiani o musulmani che siano, al fine costruire un fronte unito contro il Protestantesimo sovvertitore, la defezione cattolica, l’orrore salafita, e soprattutto, a loro capo, l’abominio sionista. Ma Iddio ne sa di più. Al di là delle vicende incresciose di quella rivolta greca, condotta da framassoni educati all’occidentale e protetti dagli Zar modernizzatori, e dai colonizzatori inglesi e francesi, contro quell’oppressione turca, che fu sì, almeno nei suoi ultimi tempi, aberrante e sanguinosa, ma da addebitarsi, oltre alle lacune ottomane nel campo della religione, ai predecessori nazionalisti di quei Giovani Turchi d’origine giudaica, complici del sionismo, dal cui seno scaturirà a sua volta il mostro del kemalismo modernizzatore. Di fronte a tutto questo un fronte assai variegato, come dicevamo. Le “democrazie” occidentali, che noi peraltro per tali riconosciamo, senza poi pretendere, come fanno invece taluni, di riconoscervi, specie negli Stati Uniti d’America e nella Gran Bretagna, delle “oligarchie”, il che significherebbe far loro onore di merito, ignorando del tutto la questione, di cui sopra, dei “poteri forti”, oltre ogni vano sproloquio a questo medesimo proposito. Alla luce di quelle nostre precedenti considerazioni, che rendono conto degli attori nascosti, com’ebbe a confessare lo stesso Benjamin Disraeli, Primo Ministro della Regina Vittoria, i quali muovono le fila dell’inesistente, tanto invocata “volontà popolare” dello “stato di diritto”, oggi tanto millantata nel mondo, a dispetto di tutti i suoi orrori inenarrabili. Che fanno fare una figura assi meschina ai poveri Hitler e Stalin, le cui malefatte, debitamente amplificate, vengono pretestuosamente invocate dalla propaganda avversa Basterà qui ricordare i 45 milioni di morti inflitti all’umanità degli ultimi tempi dalle “guerre per la democrazia”, com’essi le definiscono, specie americane, inglesi, e francesi, secondo talune fonti non indegne di fede, uno dei titoli di disonore del loro libro nero. Ripetendo che, a dispetto dell’orrore che legittimamente suscitano queste imprese orrende, si tratterà pur sempre di un aspetto affatto subordinato alla loro opera di distruzione morale e spirituale. Quindi i regimi arabi, con a capo quei regoli beduini beoni e sifilitici condannati a chiare lettere dal Sacro Corano, IX, 97, in quanto conculcatori dell’Islam, all’origine di quell’abominio contrapposto ad Iddio, sia magnificato,ed esaltato, ed all’uomo, di quanti rispondono al nome di salafiti o wahabiti, non andiamo qui per il sottile con le differenze. Al vertice di tutto questo, l’aberrazione sionista, forse quell’”abominio della desolazione” menzionato dalla Bibbia, quanto di più vicino al male assoluto al nostro livello d’esistenza. In effetti qui ci ritroviamo, più in generale, come avevamo già prima chiarito, davanti ad un coacervo di realtà inferiori richiamantisi a qualcosa di infimo, cioè di infero, vale a dire, a quelle larve infernali invertite, che la fanno da padrone con la marionetta dell’”individuo”, dell’”eguale”, maschera priva di qualità. Siamo qui dunque ad un livello ancor più basso di quelli che avevamo esaminato in precedenza, ovverosia dei movimenti fascisti e comunisti. Siamo al livello dei soldati americani, per lo più beoni e drogati, che vengono mandati in giro per il mondo a compiere stragi e genocidi, presi con le blandizie o con la forza, com’era per i famigerati arruolatori della marina inglese, dal proletariato dei suburbi più squallidi e miserabili delle loro città, con le immagini delle loro attrici, delle loro baldracche pitturate, non in nome della razza, o della nazione, oppure del proletariato internazionale oppresso. Che poi il mondo liberale dei “poteri forti” si sia evoluto con poche scosse violente, non fa che confermare la sua indole infera, nel senso d’imporsi ad una natura umana degradata, che può, nel suo tralignamento, e deve prescindere, fatte salve le poche eccezioni, da sommovimenti interni, nel suo moto apparentemente naturale, radicandosi nelle latebre di un’anima concupiscibile e passionale prona al male, S. C., XII, 53, fattene salve le escrescenze razionali. Senza che ci sia bisogno, dopo le violenze degli inizi, di ulteriori sommovimenti nel procedere agli esiti dissolutivi ultimi. Poche dunque le rivoluzioni, a questo medesimo riguardo: dopo quella americana, la francese, almeno in parte, a prescinder da certi suoi aspetti d’ulteriore regressione, quelle del Cronwell, e di Guglielmo d’Olanda in Inghilterra, la francese del ‘30, i tumulti europei del ’48, Dopo nulla più per oltre un secolo e mezzo, sino ad oggi. La qual cosa potrebbe dare l’illusione che le rivoluzioni comuniste siano un ulteriore esisto dissolutivo, successivo nel tempo, com’era ed esempio l’opinione di un Evola, che vi vedeva l’affermarsi ultimo del ceto proletario dopo di quello borghese. Essendo la reazione fascista rivolta significativamente contro entrambi, laonde non ebbe il senso di una regressione ulteriore, quantunque si facesse prendere la mano dalla lotta contro il comunismo. Laonde l’apparente procedere della società borghese in sé medesima sarà solamente un’illusione, specie se si tiene conto del divenire dei suoi esiti ultimi, essendovi qui un passaggio dall’”oligarchia” alla “democrazia”, ovverosia ai “poteri forti” precorritori dell’oppressione ultima dell’Impostore deforme dei Musulmani, dell’Anticristo dei Cristiani, nel quale s’attuerà nella sua guisa definitiva la “tirannide“ preconizzata da Platone nella sua Politeia. Essendo stato dunque il comunismo un’estrapolazione dell’ordine proletario in seno a questo medesimo divenire, che si oppone agli esiti del “lunpenproletariat”, all’”oclocrazia” dei greci, al dominio informe della feccia del popolo, di criminali, baldracche, pervertiti, profittatori, oltre che a quel potere borghese oramai oltrepassato dal suo medesimo divenire, del quale non costituisce certo l’esito ultimo inevitabile, come peraltro mostrano i fatti. Mentre il fascismo fu un tentativo aristocratico opposto sia al divenire borghese, sia alla reazione proletaria. Dov’è rimarchevole la caduta della sinistra contemporanea che, nella perdita d’ogni di riferimento, si è data a proteggere quella medesima feccia del popolo, che aveva in precedenza condannato e combattuto. Mentre una parte della destra, si è lasciata, sempre per perdita d’orientamento, fagocitare dal sionismo, nella sua pretestuosa opposizione all’Islam. Ultimo atto di siffatto abominio, dopo il costituirsi sanguinario del sedicente stato d’Israele, con tutti gli orrori che ne sono seguiti, la turpitudine salafita e wahabita, cancro esterno apposto al corpo vivo dell’Islam, che s’adopera dal suo interno, non dall’esterno, pur nella sua piena estraneità, in combutta con occidentali e sionisti, di capovolgere nel verso infero la Rivelazione Divina, facendosene la caricatura orrenda e sanguinaria, com’è nelle maschere infernali. Per attirare quei credenti ingenui, ignoranti, o corrotti, incapaci di assurgere, anche per infima partecipazione, alle vette della trascendenza divina, riducendola ad un fatto temporale ed infero, d’accordo con le mene dei poteri forti. Del che chiediamo protezione a Iddio, sia magnificato ed esaltato, scongiurandoLo di salvarci in quel vaglio reiterato e minuto cui, come recita l’Imam Jafar, la pace su di lui, saremo sottoposti alla vigilia del palesamento glorioso dell’Atteso Ben Guidato: ”Sarete setacciati, setacciati, ed ancora setacciati”.