IL MARTIRIO DI HOSSEYN E LE LACRIME DELL’ISLAM
IL MARTIRIO DI HOSSEYN E LE LACRIME DELL’ISLAM
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Pietrangelo Buttafuoco (Il Fatto Quotidiano, 03/04/2015)
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La tradizione sciita e la venerazione per il nipote di Maometto, anche lui tradito come Gesù dai membri della sua comunità. La “maledizione” dei suoi carnefici Dio accetta le condoglianze degli uomini. Sotto un cielo che versa lacrime, nel giorno in cui si commemora Hosseyn – il nipote di Maometto, reso martire a Kerbala nel 680 – si piange come davanti a sangue appena sparso. E’ il giorno di Ashura, ossia il decimo giorno del mese di muharram e si rammemora la battaglia di 72 uomini – e con loro donne e bambini – contro le truppe califfali degli Omayyadi. Tutti gli uomini, a eccezione di Zayn al-Abidin, rimasto sotto una tenda perché malato, sono uccisi. Le donne, fatte prigioniere, sono costrette a togliere il velo. I volti delle figlie del Messaggero di Dio sono esposti alla vista dei passanti. La testa mozza del Signore dei Martiri – questo è l’appellativo di Hosseyn – infilzata sulla punta di una lancia, apre il macabro corteo, cui fa ruota, il carosello delle restanti teste. Issate sulle aste per farne scempio. Hosseyn, figlio di Alì e di Fatima – figlia del Profeta dell’islam – nel tempo che corre dalla preghiera di mezzogiorno fino al pomeriggio, vede compiere il suo destino. E’ ucciso dalla sua stessa comunità, trucidato insieme a tutta la sua famiglia e al suo seguito. La gente di Hosseyn arriva alla morte già piagata dalla sete. Tre giorni prima, infatti, il Nemico blocca i rifornimenti d’acqua verso l’accampamento. Il deserto, con il suo riverbero accecante, reclama il pianto dei bambini straziati dall’arsura, senza più neppure il latte delle loro mamme. Ali al-Akbar, figlio maggiore di Hosseyn, è il primo a essere ucciso, colpito in combattimento. Ali al-Asgar, il più piccolo, è un neonato. Sta morendo di sete e la madre che lo porta al collo supplica il proprio sposo affinché – nel nome della Misericordia – chieda un sorso d’acqua al Nemico. Hosseyn prende il bimbo e lo porta con sé tra le truppe omayyadi. Un soldato del califfo, il Nemico, senza dissetarlo lo uccide. Pioggia di frecce, colpi di spada e di lancia del Nemico. Vestiti di nero, nel ricordo del martirio, ci s’incammina in ogni parte del mondo per ritrovarsi tra le sabbie di Kerbala il cui aroma, ancora oggi, è pianto. Imam Alì, citato da Ahmad ibn Hanbal, racconta: “Un giorno, entrando da Maometto, vidi che i suoi occhi versavano lacrime. Allora lo interrogai: perché piangi, Messaggero di Dio? L’angelo Gabriele – disse – è venuto da me. Egli mi ha informato che Hosseyn sarà ucciso presso l’Eufrate. Vuoi sentire – mi ha detto – la terra dove egli sarà ucciso? Egli tese la sua mano, raccolse un pugno di terra e me la diede. Non sono più riuscito a impedire alle lacrime di scendere dai miei occhi.” Gli occhi, piangendo, fanno la carità agli uomini. “Da Hosseyn”, dice Mahatma Gandhi, “ho appreso che devo essere oppresso per trionfare”. “Chiunque pianga o faccia piangere cento persone per le frecce mortali conficcate al cuore della retta guida avrà la garanzia di andare in Paradiso. Chi poi pianga per l’amato nipote del Profeta – abbandonato senza vestiti sulla sabbia del deserto, il cui sangue è stato versato dalla spade dei traviati, offerto alla vista dei maldicenti – chi dunque pianga e faccia piangere cinquanta o trenta o venti o anche dieci persone, o persino una sola persona, andrà in Paradiso e “lo stesso dicasi” – dice Ibn Tawus – “per chi si finga piangente”. Pianti, lamenti e il sangue della battaglia Pianti, lamenti, trenodie. Il fuoco della tristezza brucia di cordoglio l’animo di coloro i quali comunicano la notizia dei martiri di Kerbala. Dopo aver seppellito il proprio bambino, Hosseyn torna nel campo di battaglia. Persi i propri figli, i propri parenti e compagni, circondato dall’armata nemica, Hosseyn combatte. Sguaina la spada, il Principe dei Martiri, e il nemico, come un gregge in preda a un lupo, si disperde. “Se non temete il Giorno del Giudizio” – dice Hosseyn combattendo – “siate perlomeno nobili in questa vita. Sono io a combattere con voi. E voi con me. Le donne non hanno colpe.” Hosseyn, il figlio di Fatima, chiede allora al nemico un sorso d’acqua. Non lo ottiene ma in cambio riceve settantadue ferite. Sfinito, si ferma, e viene colpito in fronte da una pietra. Fa per pulirsi la ferita ma una freccia avvelenata a tre punte lo raggiunge nel cuore. Estrae la freccia e il sangue, versandosi, lo priva di ogni forza: “Così incontro Allah, tinto del mio stesso sangue, usurpato dei miei diritti”. Il figlio dell’amata figlia del Profeta di Dio si avvia a morire. Le frecce si avventano su di lui fino a farlo simile a un riccio. Chiunque gli è vicino per evitare di rendere conto a Dio per aver ucciso il figlio dell’amata figlia del Messaggero di Allah si allontana. Il cielo precipita sulla terra, le montagne si frantumano e cadono al suolo. Un altro colpo sulla spalla fa cadere Hosseyn. Il nemico gli trafigge la gola con la lancia, quindi la estrae, lo colpisce ancora nel pezzo e lo finisce con una freccia. Ancora una volta in gola. “Giuro su Dio che”, dice il nemico a Hosseyn, “nonostante sappia bene che tu sei il nipote del Profeta e che non esistono genitori migliori dei tuoi, io ti decapiterò.” Dalle schiere del nemico esce Hilal Ibn Nafi e si avvicina al martire: “Mai vidi morire in un bagno di sangue persona più avvenente e migliore di Hosseyn. La luce che emanava il suo viso, la sua bellezza mi distolsero dal pensiero di ucciderlo” Hosseyn è morto e un’immensa nuvola di polvere nera fa buio il cielo. Un vento rosso che rende tutti ciechi inizia a spirare dentro la stessa oscurità. Alto è il lamento degli Angeli i quali, rivolti a Dio, dicono: “O Signore, questo è Hosseyn, Tuo eletto, figlio del Tuo Eletto e della figlia del Tuo Profeta”. Sul corpo di Hosseyn si contano trentatré colpi di lancia e trentaquattro ferite di spada. Fatima, la madre, Addolorata, nella trasfigurazione mistica dei cieli vede il figlio e invoca il fuoco nero nel quale non entra mai quiete e dal quale tristezza non esce mai. Chiama il fuoco e lo prepara per raccogliere gli assassini del figlio. Un soldato ruba i pantaloni del martire e resta paralizzato. Un altro si porta il turbante, lo mette in testa, e diventa pazzo. Il nemico si dispone tra i suoi sgherri e grida: “Chi è disposto a passare sul corpo di Hosseyn e a schiacciarne la schiena e il petto con gli zoccoli del proprio cavallo?” Dieci tra gli empi si prestano e a loro il nemico dà un’esigua ricompensa. Folta è la schiera degli armati sollevati contro Hosseyn. Resusciteranno ma, nel Dì del Giudizio, saranno uccisi da Hosseyn. Ciò sarà quando sarà elevata una cupola di luce per Fatima e Hosseyn, il Principe dei Martiri, tornerà con il migliore aspetto.
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