Il richiamo all’Unità Islamica
Il richiamo all’Unità Islamica
Author :
Allamah M.R. al-Muzaffar*
0 Vote
111 View
Gli Imam dell’Ahl-ul-Bayt (as) sono stati sempre conosciuti per la loro accuratezza nel preservare l’Islam, salvaguardare la sua forza, invitare all’unità tra i suoi seguaci, alla coesione tra i suoi ranghi e alla cancellazione del risentimento e dei rancori tra i Musulmani. Conosciamo bene l’atteggiamento positivo del Principe dei Credenti, l’Imam ‘Ali (as), verso i suoi predecessori. Egli non ha esitato a sostenerli, aiutarli e assisterli, sebbene provasse amarezza verso di loro per aver usurpato il suo diritto al Califfato. Malgrado ciò, portò avanti la sua preoccupazione di preservare l’Unità Islamica astenendosi dall’annunciare pubblicamente che, nel noto Sermone di al-Ghadir, era stato nominato dal Nobile Profeta (S) alla sua successione, non sostenendo il suo legittimo diritto usurpato in modo pubblico per riavere il Califfato, e fece ciò per tutto il periodo in cui i suoi predecessori ricoprirono la carica di califfo. Di questo suo diritto ne parlò solo dopo che il governo (il Califfato) toccò a lui, riunendo i Compagni del Profeta rimasti, in modo che potessero testimoniare pubblicamente l’esistenza e la veridicità del sermone di Ghadir nel noto giorno chiamato “Al-Rahbah” (1). Prima della sua ascesa al Califfato, dunque, l’Imam ‘Ali (as) non ha esitato un attimo nel fornire consulenza ai tre califfi che lo hanno preceduto ogni qualvolta c’era bisogno di salvaguardare gli interessi dei Musulmani. Egli ha giustificato il suo atteggiamento nei confronti di coloro che riteneva avessero usurpato il suo diritto, in questi termini: “Temevo che se io non avessi cooperato con i califfi, l’Islam sarebbe stato indebolito da possibile dissenso e divisione”. (2) Ecco perché, per tutto il periodo del Califfato dei suoi tre predecessori, non disse mai una parola che potesse indebolire il loro potere, o minare il loro prestigio e la loro credibilità. Egli si chiuse in casa malgrado non approvasse le loro azioni. Tutto ciò era per l’interesse generale dell’Islam. Ma ogni volta che i tre califfi avevano bisogno di lui, egli non esitava a dar loro consigli. Il califfo ‘Umar ibn al-Khattab riconosceva il prezioso contributo dell’Imam ‘Ali (as) e il suo atteggiamento positivo, e spesso ripeteva: “Non ho mai dovuto affrontare un problema complesso senza trovare Abul-Hasan [l’Imam ‘Ali] che lo risolvesse” (3), oppure “senza ‘Ali, ‘Umar sarebbe perito” (4). Ricordiamo anche la posizione dell’Imam al-Hasan (as) a proposito del trattato di pace con Mu’awiyah. In effetti, l’Imam al-Hasan (as) pensò che il perseguimento di un conflitto fratricida avrebbe rischiato di far cadere lo Stato Islamico o addirittura di cancellarlo per sempre dalla faccia della terra, distruggendo così la Shari’ah e sterminando il resto dell’Ahl-ul-Bayt. Così scelse di mantenere la forma dell’Islam e il nome della Religione, firmando un gravoso trattato di conciliazione con Mu’awiyah, l’acerrimo nemico della religione e l’implacabile avversario dell’Ahl-ul-Bayt (as), e tutto ciò pur sapendo di subire ingiustizie e umiliazioni per sé e i suoi seguaci, nonostante le spade dei Bani Hashim e quelle dei suoi seguaci fossero state già sguainate e pronte a non essere riposte prima di aver dimostrato e rivendicato il proprio diritto alla difesa e alla giusta lotta. Ma il supremo interesse dell’Islam era, per lui, al di sopra di tutte le altre considerazioni. In seguito, l’Imam Husayn (as) si rivoltò eroicamente contro gli Omayyadi guidati da Yazid figlio di Mu’awiyah, uomo senza scrupoli che non aveva nulla a che fare con l’Islam. L’Imam Husayn (as) vide negli Omayyadi, attraverso Yazid, una minaccia contro l’esistenza e i principi stessi dell’Islam e il suo splendore, e temeva che i suoi insegnamenti potessero essere calpestati in modo intollerabile. Egli volle dimostrare alla storia l’aggressività degli Omayyadi, la loro ingiustizia e le loro cospirazioni contro la Shari’ah del Nobile Profeta (S). Se non fosse stato per la sua sacra rivolta e il suo grande sacrificio, il contenuto dell’Islam si sarebbe svuotato o, addirittura, sarebbe stato cancellato. L’Imam Husayn (as) ha salvato l’Islam da ogni rischio di emarginazione o falsificazione, sacrificando la sua vita per risollevare la Parola della Verità e della Giustizia contro Yazid. La sua lotta è diventata un simbolo del rifiuto dell’ingiustizia e dell’oppressione. Ecco perché gli Sciiti lo commemorano ogni anno. La commemorazione del martirio dell’Imam Husayn (as) nel giorno di ‘Ashura’ (10 di Muharram), viene celebrata proprio per rinnovare la loro fedeltà al caro nipote del Nobile Profeta (S), e completare il suo messaggio di lotta contro l’ingiustizia e l’oppressione, in conformità ai comandamenti degli Imam dell’Ahl-ul-Bayt (as) che gli succedettero. Il costante impegno degli Imam dell’Ahl-ul-Bayt (as) nel preservare la gloria dell’Islam, anche quando a capo del governo della Comunità Islamica c’erano i loro acerrimi nemici [coloro che li trattavano con la massima crudeltà e li sottoponevano, insieme ai loro seguaci, a ogni forma di tortura, vessazione o umiliazione], appare evidente con l’atteggiamento dell’Imam Zayn-ul-‘Abidin (as) nei confronti dei sovrani Omayyadi. In effetti, anche se avevano violato il suo diritto elementare e l’avevano privato della sua libertà di movimento, e malgrado egli fosse vissuto, sotto il loro regno, nel dolore a causa del selvaggio massacro da loro perpetrato contro suo padre, l’Imam Husayn (as) e la sua famiglia nella tragedia di Karbala, egli non smise mai di pregare in privato per la vittoria degli Eserciti Musulmani, per la gloria dell’Islam e per la pace e la sicurezza dei Musulmani. E l’unica sua arma per diffondere la conoscenza e la scienza islamica era la Supplica. Egli ha insegnato ai suoi seguaci Sciiti come invocare Allah per la vittoria dell’Esercito Islamico, e dei Musulmani in genere. Questo è quanto troviamo nella sua nota Supplica chiamata “Du’à Ahl-ul-Thoghùr” (“La Gente delle Linee di Frontiera”, al-Sahifa al-Sajjadiyyah, Du’à n. 27). In questa Supplica si legge: “O Allah! Che la Pace e la Misericordia siano su Muhammad e la sua progenie! Aumenta il numero e la forza dei loro seguaci, affila le loro spade, proteggi i loro territori, consolida le loro fila, equipaggiali con lo spirito di solidarietà, fornisci loro mezzi di sussistenza, copri le loro spese, arma il loro potere, dona loro la pazienza e la resistenza, proteggi e ispira le loro azioni strategiche per sconfiggere il nemico”. L’Imam prosegue dicendo (dopo aver invocato l’Ira di Allah contro i miscredenti): “O Allah! Consolida in questo modo i mezzi dei Musulmani, rafforza i loro territori, aumenta i loro beni, rendili liberi da ogni stato di guerra per prendersi cura del Tuo Culto, e poni fine alle ostilità interne tra loro in modo che essi possano pregare per Te in solitudine e in pace, ed affinché non si possa trovare nessun altro, su tutta la terra, che venga adorato all’infuori di Te, e non si inchinino a nessuno al di fuori di Te.” In questa supplica, la più lunga di tutte quelle composte, l’Imam Zayn-ul-Abidin (as) incoraggia i combattenti musulmani ad armarsi di morale e virtù, avvertendoli della necessità di prepararsi ad affrontare il nemico. Egli fornisce, oltre alle istruzioni militari inerenti il dovere del Jihad islamico, anche le spiegazioni riguardanti il suo scopo e le utilità che ne derivano. Egli inoltre richiama l’attenzione dei Musulmani sul genere di precauzione da attuare nei confronti dei loro nemici, e le misure da adottare nell’affrontare la lotta contro di loro. Allo stesso modo egli raccomanda ai combattenti dell’Islam di ricordare Allah anche in combattimento, di astenersi da ogni peccato e di tenere sempre a mente che il Jihad è solo per Allah e per il trionfo della Sua Causa. Anche altri Imam (as) hanno adottato un simile atteggiamento costruttivo nei confronti dei governanti del loro tempo, nonostante il crudele trattamento che fu loro riservato, e malgrado tutte le persecuzioni e l’oppressione che dovettero subire. Rendendosi conto che il loro diritto al governo non gli sarebbe stato restituito, si dedicarono all’insegnamento dei genuini e supremi principi dell’Islam e all’orientamento religioso dei loro seguaci. Tutte le sanguinose rivolte e rivoluzioni avvenute nelle loro epoche, scatenate dagli Alawiti e altri, avvennero contro la loro volontà. Anzi, erano chiare violazioni dei loro ordini e delle loro raccomandazioni. Infatti gli Imam (as) avevano rifiutato qualsiasi atto che potesse mettere in pericolo lo Stato Islamico, pur preservando le linee generali dei principi dell’Islam. Essi hanno curato più di chiunque altro, anche più dei Califfi Abbasidi stessi, la salvaguardia e l’integrità dello Stato Islamico, ed erano riluttanti a vedere spargere il sangue dei Musulmani. Per dare dimostrazione di questa loro preoccupazione per la tutela dello Stato Islamico, ci è sufficiente leggere il testamento dell’Imam Musa al-Kadhim (as) ai suoi seguaci: “Non vi fate umiliare nel rivoltarvi contro il vostro sultano; se è giusto, pregate Allah che viva a lungo, e se non lo è, pregate Allah che lo guidi verso la Retta Via, perché il vostro miglioramento dipende da quello del vostro sultano; il sultano giusto è come un padre misericordioso; pertanto, amate per lui ciò che amate per voi stessi e odiate per lui ciò che odiate per voi stessi” (5). In questo testamento si sottolinea la necessità di rispettare il proprio sovrano da parte dei cittadini e di preservare la sua sicurezza, quindi amare per lui ciò che si ama per se stessi e odiare per lui ciò che si odia per se stessi. Dopo questo, si segnala in modo evidente la responsabilità degli Sciiti verso lo Stato Islamico e la sua guida, contrariamente a quello che viene affermato da alcuni scrittori nei libri di quest’epoca, che non esitano a diffamare la Shi’a, oppure a descriverlo come una associazione segreta eversiva, o una setta rivoluzionaria vendicativa. E’ vero che una delle caratteristiche salienti di ogni Musulmano credente negli insegnamenti dell’Ahl-ul-Bait (as), è quella di essere nemico giurato dei tiranni e della tirannia e di non accettare mai di allinearsi con la loro posizione di aggressione, o di tendere una mano a coloro che incoraggiano i tiranni nei loro atti di oppressione. Questa riluttanza contro i tiranni, la tirannia e i suoi sostenitori si trasmette tra gli Sciiti di generazione in generazione. Ma questo non autorizza nessuno a descrivere gli Sciiti come traditori, ribelli o sleali. Ciò non fa parte del loro carattere, e non è nel loro modo di ribellarsi, nel nome dell’Islam, contro il potere islamico presente, né in segreto né manifestamente. Gli insegnamenti che hanno ricevuto dai loro Imam vietano loro di tradire, ingannare e versare il sangue di un fratello musulmano, di qualunque setta sia o a qualunque scuola giuridica islamica appartenga. Per loro, si devono salvaguardare i beni e la proprietà di ogni Musulmano che pronuncia la “Shahadatayn” [La ilaha illa-llah, Muhammadan Rasul-ul-Llah = Non c’è altro Dio all’infuori di Allah, Muhammad è il Messaggero di Allah] (6), proteggere la sua vita, preservare il suo onore. Essi credono fermamente che un Musulmano è fratello di ogni altro Musulmano, sia esso Sciita o meno, e ha il diritto/dovere della fratellanza, come vedremo di seguito. NOTE Ci si riferisce al giorno in cui l’Imam ‘Ali (as), dopo aver assunto il Califfato nell’anno 35 dell’Egira, nella località di Rahbah – una zona di Kufah, nell’attuale Iraq – chiese ai Compagni lì riuniti quanti erano stati testimoni della sua nomina alla Guida della Comunità islamica da parte del Profeta (S) nel giorno di Ghadir Khum, chiedendo loro di alzarsi in piedi. Trenta Compagni si alzarono, dodici dei quali dei quali avevano partecipato alla battaglia di Badr. Questo evento avvenne venti anni dopo la dichiarazione del Santo Profeta (S) dopo il suo ultimo Pellegrinaggio presso lo stagno di Ghadir, avvenuta nell’anno 10 dell’Egira. (n.d.r.) Nahj al-Balagha, lettera 62. Questo detto di ‘Umar è così famoso che è stato riportato da numerosissime fonti e in diverse versioni. Cfr. Al-Tabari, Dala’il al-Imamah, p. 22; al-Qadi al-Nu’man al-Maghribi, Sharh al-Akhbar, 2: 317, h. 651, p. 565, h. 651; Shaykh al-Mufid, Kitab al-Irshad, 1:204; Ibn Shahr Ashub, Munaqib al Abi-Talib, 1:311, 2:182; Ibn al-Bitriq al-Asadi al-Hilli, al-’Umdah, p. 257; al-Hurr al-‘Amili, Wasa’il al-Shi’ah, 28:108, h. 34333; Ibn Sa’d, al-Taqabat al-Kubra, 2:239; al-Khawarizmi, al-Manaqib, pp. 96-97, h. 97, 98; Ibn ‘Asakir, Tarikh Madinat Dimashq, 4:23; Ahmad ibn ‘Abdullah al-Tabari, Dhakha’ir al-‘Uqba fi Manaqib Dhaqi’l-Qurba, p. 82; al-Mazzi, Tahdhib al-Kamal, 20:485; al-Zarandi al-Hanafi, Nuzum Durar al-Simtayn, pp. 131-132; Ibn Khatir al-Dimashqi, al-Bidayah wa’l-Nihayah, 7:397; Ibn Hajar al-‘Asqalani, al-Isabah fi Tamyz al-Sahabah, 4:467, n. 5705; Ibn Hajar al-‘Asqalani, Fath al-Bari Sharh Sahih al-Bukhari, 13:286; al-Qanaduzi al-Hanafi, Yanabi’ al-Mawaddah li-Dhawi’l-Qurba, 1:227, h. 57, 58; al-Mannawi, Fayd al-Qadir Sharh l-Jami al-Saghir, 4:470, h. 5594. Ibn Shadhan al-Azdi, al-Idah, p. 192; al-Tabari, Dala’il al-Imamah, p. 22; al-Kulayni, al-Kafi, 7:424, h. 6; Shaykh al-Saduq, Man La Yahduruhu’l-Faqih, 4:36, h. 5052; al-Sharif al-Radi, Khasa’is al-A’immah, p. 85; Shaykh al-Mufid, al-Ikhtisas, p. 111; Allamah al-Hilli, Kashf al-Yaqin fi Fada’il Amir al-Mu’minin, p. 62; al-FayruzAbadi, Fada’il al-Khamsah min al-Sihah al-Sittah, 2:309; al-Khawarizmi, al-Manaqib, p. 81, h. 65; Ibn Abi’l-Hadid al-Mu’tazili, Sharh Nahj al-Balaghah, 1:18, 141, 12:179, 205, 206; Ahmad ibn ‘Abdullah al-Tabari, al-Riyad al-Nadirah fi Fada’il al-‘Asharah, p. 82; al-Zarandi al-Hanafi, Nuzum Durar al-Simtayn, pp. 130, 133; al-Muttaqi al-Hindi, Kanz al-‘Ummal, 10:300, h. 29509; al-Qanaduzi al-Hanafi, Yanabi al-Mawaddah li-Dhawi’l-Qurba, 1:216, 227, 2:172, 3:147; al-Mannawi, Fayd al-Qadir, 4:470, h. 5594. “E’ illecito impossessarsi della proprietà, ricchezza, ecc. di un Musulmano, senza il suo libero permesso”. Cfr. Shaykh al-Saduq, Man La Yahduru’l-Faqih, 4:93, h. 5151; Ibn Shu’bah al-Harrani, Tuhaf al’-Uqul, p. 34; al-Ihsa’i, ‘Awali al-La’ali, 1:222, h. 98 e 2:113, h 309 e 3:473, h. 1, al-Hurr al-‘Amili, Wasa’il al-Shi’ah, 14:572; al-Azdi, Bahjat al-Nufus, 2:134, 4:111; Musnad Ahmad ibn Hanbal, 5:72; al-Jassas, Ahkam al-Qur’an, 2:216, 224, 241, 3:415, 433, 434, 589, 599; al-Baqillani, I’jaz al-Qur’an, p. 131; al-Bayhaqi, al-Sunan al-Kubra, 8:182. *Estratto da: Allamah Muhammad Rida al-Muzaffar, “La dottrina dello Sciismo imamita” (al-Aqaid al-Imamiyyah), Irfan Edizioni, 2014. E’ possibile ordinare il testo alla nostra Associazione scrivendo a: [email protected] A cura di Islamshia.org © E' autorizzata la riproduzione citando la fonte