L'Islam e i problemi economici
L'Islam e i problemi economici
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Seyyed Mojtaba Mousavi Lari Il problema dell’economia e dello sfruttamento delle risorse naturali è uno dei più importanti, che ha costantemente accompagnato la vita e l’esistenza dell’umanità. I bisogni primari dell’uomo sono sempre esistiti nella sua vita. Essi sono semplicemente cambiati e si sono sviluppati nel corso dei secoli, conformemente alle condizioni di ogni epoca. Una volta, l’utilizzazione delle risorse naturali e le modalità di sussistenza avevano una forma primitiva. Ma, a poco a poco, parallelamente alla solidarietà delle persone tra loro e allo sviluppo delle nazioni, esse assumeranno la forma delle leggi e di sistemi particolari, fino a quando, dopo quasi quattro secoli, ovvero dopo l’inizio dell’era capitalista, le scienze economiche saranno formulate basandosi sull’analisi delle suddette articolazioni della vita economica. Lo stupefacente sviluppo della civilizzazione durante l’ultimo secolo, la rivoluzione industriale e tecnologica, il progresso e il perfezionamento dei mezzi di comunicazione e lo sviluppo delle nazioni, hanno fatto sì che le scienze economiche divenissero il principale fattore dell’evoluzione e dei cambiamenti sociali, propiziando altresì la nascita dei sistemi capitalista e comunista, articolati nei due blocchi dell’ovest e dell’est. Tutti i conflitti e le tensioni fra i due blocchi si sono concentrati intorno a questo asse. Come potrà essere risolto l’enigma dell’economia umana? Quale sistema economico potrà dunque risolvere il problema dell’economia meccanizzata del mondo attuale? E, infine, qual è la maniera più equa per dividere la ricchezza tra i fattori di produzione? Il principale metodo che i pensatori hanno proposto per eliminare le differenze fra le classi sociali fu, in primo luogo, l’abolizione del capitalismo e, in secondo luogo, la garanzia di un minimo di sussistenza per tutti. Il secondo metodo è oggi il più diffuso, sotto qualsivoglia forma, nei paesi occidentali. Il comunismo ha preteso di poter impedire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; in tal modo, esso ha preteso di risolvere i problemi economici del mondo tramite la soppressione della proprietà privata e grazie all’uguale ripartizione dell’insieme dei mezzi di produzione. Per il comunismo, la proprietà privata è stata sempre accompagnata dall’ingiustizia e dall’oppressione; conseguentemente, esso è favorevole all’abolizione del grande capitale mediante l’espropriazione dei mezzi di produzione dalle mani della classe borghese per approdare alla nazionalizzazione e, infine, al miglioramento della situazione economica. Il comunismo pensa che, livellando le classi sociali, le ingiustizie provocate dal capitalismo spariranno da sole, fino a cedere il posto all’armonia e all’uguaglianza. Ma che cosa bisogna fare per formare questa classe unica, allorché molteplici fattori sono intervenuti nella formazione delle differenti classi sociali? Nei paesi socialisti, benché non sia mai esistita alcuna classe “capitalista”, vi sono stati tuttavia diversi strati sociali (operaio, agricolo, impiegatizio, funzionariale), i cui livelli di vita erano totalmente differenti. Il medico e l’infermiere hanno forse avuto in Unione Sovietica lo stesso salario? Un semplice operaio è stato pagato quanto un ingegnere? Inoltre, la mentalità, le idee, le inclinazioni, i sentimenti e la forza fisica degli individui saranno sempre differenti, poiché ciascuno è conforme al proprio patrimonio genetico ereditario. Un celebre comunista, a tale riguardo, afferma: “Risulta praticamente impossibile applicare l’eguaglianza assoluta e ridurre al livello di semplice lavoro l’attività dei saggi, dei pensatori, dei politici e degli inventori” (1). Il capitalismo, da parte sua pretende di proporsi quale unico sistema che possa risolvere il complicato problema dell’economia meccanizzata. Esso non sopprime dunque la proprietà privata, ma, al contrario, nella prospettiva di equilibrare il livello del lavoro e dei salari, e allo scopo di limitare la disparità delle classi sociali, accorda un minimo di sussistenza alle classi sfavorite (2). Ma questo scarto fra le classi sociali è veramente scomparso dopo queste riforme? Questo lusso di cui beneficiano i ricchi non provoca forse l’odio e il malcontento degli strati sociali subalterni? Essi dovranno restare per sempre nelle loro miserabili condizioni? I problemi sociali saranno risolti fin tanto che questo smisurato scarto non avrà cessato di accrescersi? Nei sistemi socialisti e capitalisti, i criteri di base non sono altro che criteri materiali. I problemi economici e sociali sono studiati indipendentemente dai valori spirituali e dal comportamento umano. In questi sistemi, l’aumento delle ricchezze costituisce l’obiettivo principale. Al di fuori di ciò, non esiste alcuna verità. Ma l’Islam, grazie alla sua grande filosofia, esamina l’uomo sotto tutti i suoi diversi aspetti. Oltre al miglioramento che esso apporta alle condizioni materiali della società, esso consacra le ricchezze alla realizzazione del complesso dei desideri e degli ideali dell’uomo, tenendo conto in tutti i suoi precetti della perfezione spirituale di quest’ultimo. Nel mondo occidentale, la legge sostiene il sistema capitalistico. Essa difende gli interessi dei detentori dei capitali nei confronti dei lavoratori. Mentre in Unione Sovietica, si è detto ufficialmente, la legge ha mirato ad abolire il capitalismo e la proprietà in favore del proletariato. Ma la fonte delle leggi islamiche non è altro che la rivelazione divina. Questo sistema non è stato generato dalla ragione dei legislatori umani, i quali, preferendo una classe all’altra, si lascerebbero condizionare dagli interessi frazionistici di queste ultime. Si tratta di leggi che non sono state promulgate nell’interesse di una classe particolare né ispirate da passioni umane. Si tratta di leggi che Dio, Signore degli uomini, ha stabilito per tutti e nell’interesse di tutti. Nessuna ingiustizia può dunque esistere. Nell’Islam, colui che è degno di governare non è il candidato di alcuna categoria sociale particolare. Egli è considerato come un semplice membro della nazione, e non può in alcun caso promulgare leggi in favore di una certa classe e a detrimento delle altre. Il potere che egli detiene serve all’applicazione dei precetti divini ed egli non può assolutamente abusarne. Un tale legislatore non è altro che l’esecutore delle leggi divine, e solo lui potrà far regnare l’indipendenza e la libertà dei suoi simili nella società. Tenendo conto degli errori presenti nelle ideologie sopra citate, occorre quindi, quale termine di paragone, prendere in considerazione i metodi dell’Islam. Benché l’Islam si opponga alla proprietà privata incondizionata che fornisce ai capitalisti una libertà assoluta e una proprietà illimitata e illegittima, riconoscendo, nel contempo, un valore fondamentale alla società, esso respinge tuttavia la soppressione della proprietà privata, la quale sottrarrebbe al singolo la sua libertà e la sua indipendenza. Contrariamente ai sistemi economici che rimettono nelle mani del governo la sussistenza del popolo e nei quali il singolo sia sacrificato per la comunità – poiché esso non è che una persona – e che il popolo sia ridotto a essere schiavo del governo allo scopo di potersi nutrire. I comunisti pensano, senza averne la prova, che la proprietà privata non sia un fenomeno innato. Essi affermano che essa non esisteva nelle comunità primitive in cui – pensano essi – gli uomini vivevano cooperando fraternamente. Secondo costoro, la tendenza dell’uomo alla proprietà privata, come dimostrerebbe il mondo attuale, sarebbe apparsa successivamente. Ma, in verità, la proprietà privata è nata con l’uomo. Essa è in diretto rapporto con la sua natura. Così come con gli altri bisogni innati, non si può lottare contro di essa. Felicien Chalet, a tale riguardo, scrive: “Se il dominio della proprietà privata ha assunto proporzioni vaste e illimitate, ciò è avvenuto perché esiste una profonda relazione fra la proprietà e gli istinti dell’uomo. L’essere umano, in forza della sua natura, cerca di possedere ciò che soddisfa i suoi bisogni, poiché egli non si considera completamente libero se non quando il proprio benessere non è stato assicurato. La terza ragione che fonda la proprietà privata è una ragione morale. Da questo punto di vista, la proprietà è fondata sul lavoro e sull’economia. Il prodotto del lavoro umano è il prolungamento della sua personalità, dunque degno di rispetto”. Chalet riconosce la proprietà individuale come principale fattore del progresso economico e della produzione. Egli scrive: “Ma la principale ragione d’essere delle proprietà è l’interesse collettivo. La società ha bisogno del lavoro del singolo. Affinché il suo lavoro sia intenso, si rende necessario un incentivo. La proprietà è il miglior incoraggiamento all’espansione delle attività. E’ interesse della società che le persone contribuiscano alla crescita del capitale collettivo. La società deve dunque permettere alle persone di possedere i propri risparmi. La proprietà è il solo fattore che, senza fare ricorso alla forza, obbliga le persone a lavorare e risparmiare”. (3) Lo stesso Islam, nella sua legislazione, tiene conto di questo bisogno naturale e innato, il quale rappresenta un efficace fattore per il progresso e per la proprietà. Questa religione considera la natura dell’uomo quale essa è. I beni legittimamente ottenuti sono considerati come proprietà individuale; ciò che è prodotto appartiene a colui che lo ha prodotto. L’Islam respinge la teoria che pretende che l’ingiustizia e l’oppressione derivino dalla proprietà privata. Il fatto che la proprietà individuale sia accompagnata, in Europa, dall’ingiustizia e dall’oppressione, è da ascriversi al fatto che la legislazione è nelle mani della classe capitalista. E’ dunque evidente che in tali condizioni la totalità delle leggi sarà promulgata nell’interesse di questa classe. Noi abbiamo precedentemente ricordato che nell’Islam il legislatore assoluto è Dio. Le sue leggi non favoriscono nessuna classe particolare; i ricchi non ne beneficiano affatto a danno dei diseredati. L’Islam non permette di espropriare i fondatori e i proprietari delle fabbriche e dei loro beni. Infatti, ciò va contro la sicurezza pubblica e i diritti dell’uomo, oltre a scoraggiare ogni creatività. Lo Stato, però, può benissimo assumere la gestione delle grandi industrie e la fondazione delle fabbriche, alla scopo di consolidare le basi della giustizia sociale e di garantire gli interessi nazionali ed economici. Infine, l’Islam, nell’ambito del suo sistema economico, riconosce sia il singolo sia la società. Esso, al fine di risolvere i problemi economici secondo i principi della giustizia sociale, ha fondato una specifica dottrina sulla base di un’economia libera e di un relativo riconoscimento della proprietà, nonché nel quadro dell’indipendenza individuale e degli interessi comunitari. Esso riconosce come un diritto naturale la proprietà individuale, fino a quando essa non intralci gli interessi comunitari. Esso l’ammette nella misura in cui questa soddisfi il naturale bisogno di possesso, affinché tutti gli uomini orientino le loro attività verso la valorizzazione di un’accresciuta produzione. Ma esso ha fissato i limiti di questa forma di proprietà, affinché essa non approdi all’ingiustizia e affinché il singolo, abusando della sua libertà, non calpesti gli interessi comunitari. Sicuramente, questa restrizione della libertà non è assolutamente dannosa, anzi, essa è necessaria, allo scopo di impedire ogni decadenza e di assicurare la sopravvivenza della società. Nel dominio della proprietà privata, l’Islam ha notevolmente limitato gli abusi, ammettendo soltanto la proprietà legittimamente acquisita, senza alcuna violazione degli altrui diritti, senza usura, senza accaparramento, ecc. Mediante queste condizioni e queste limitazioni imposte dall’Islam, le ricchezze non possono certamente essere ammassate in maniera dannosa, così come avviene, invece, nei sistemi capitalisti. La comunità islamica è dunque al riparo dalle nefaste conseguenze del capitalismo, le quali conducono tutte, inevitabilmente, a situazioni di crisi rovinosa. Alcuni economisti affermano che il capitalismo, inizialmente semplice e benefico, è pervenuto progressivamente al suo stato di nocività a causa dei crediti interni, basati sull’usura. Allo stesso modo, la spietata concorrenza capitalistica trascina al fallimento le piccole imprese, propiziando il loro ‘accaparramento’. Ciò, allo scopo di creare grandi imprese nel quadro di un sistema fondato sull’accaparramento. Un altro metodo mirante a conseguire l’equilibrio economico fra le diverse classi, impedendo l’accumulazione delle ricchezze, è costituito dall’applicazione di imposte quali la zakat e il khums, con le quali si riduce ogni anno una parte dei capitali e dei vantaggi dei ricchi. La promulgazione delle leggi che accordano la proprietà di una parte delle risorse al governo islamico, ovvero la nazionalizzazione, è un altro metodo volto a impedire la concentrazione capitalistica e a propiziare un’equa distribuzione delle ricchezze. Ad esempio, le foreste, i mari, i pascoli, le terre incolte, le montagne con tutti gli alberi e le miniere che esse contengono, il demanio dello Stato, i beni di proprietari sconosciuti, le terre pervenute ai musulmani (anche come bottino di guerra, i beni senza eredi, ecc.). Benché una parte di essi sia riservata alla Guida dei musulmani, quest’ultimo li consacrerà ai lavori pubblici. La legge sull’eredità costituisce parimenti un altro fattore che consente la distribuzione delle ricchezze anche alle generazioni future. L’Islam rispetta la proprietà privata fin tanto che la comunità non è minacciata. Quindi, in condizioni eccezionali e allo scopo di evitare le crisi, il governo islamico, conformemente all’autorità di cui è depositario, potrà moderare la proprietà privata a vantaggio della comunità islamica. E’ un diritto che gli è conferito dalla legge islamica. Chi dirige non può tollerare la concentrazione delle ricchezze fra le mani di una minoranza, nel momento in cui la maggioranza soffre la fame e le privazioni; l’Islam condanna il capitalismo ignobile che regna in Occidente e, inoltre, non permette ai detentori di capitali di fomentare la guerra, il colonialismo e la schiavitù allo scopo di soddisfare la propria cupidigia. Il Sacro Corano dichiara: “Il bottino che Iddio concesse al Suo Inviato, sugli abitanti delle città, appartiene a Iddio e al Suo Inviato, ai {suoi} familiari, agli orfani, ai poveri e al viandante diseredato, cosicché {la ricchezza} non sia monopolio dei ricchi fra di voi. Prendete quello che il Messaggero vi dà e astenetevi da quel che vi nega e temete Iddio. In verità Iddio è severo nel castigo" (Sura al-Hashr, 59:7) E così come ciò che nuoce alla società nuoce al singolo, così non esiste alcuna contrapposizione fra i diritti del singolo e quelli della comunità. In questo modo, l’Islam, benché rispetti la proprietà privata e cerchi di soddisfare i desideri innati dell’uomo, riconoscendo i vantaggi della proprietà privata, per certi versi in modo analogo al capitalismo, nel contempo utilizza, in caso di necessità, i beni del singolo nell’interesse della comunità. Benché l’Islam impedisca con le sue leggi ogni abuso da parte del capitalismo, la sua legislazione non si limita tuttavia a questo dominio. Sul piano morale, esso obbliga le persone a fare l’elemosina. Esso armonizza il suo invito morale con la legge. Gli obblighi fermi e solidi della sua morale sono così istruttivi e risvegliano così tanto i sentimenti umani più puri, che il musulmano non può restare indifferente alle disgrazie dei suoi confratelli. L’Islam lotta seriamente contro lo sperpero e contro la dissolutezza, i quali sono frutto della contraddizione evidente che determina la concentrazione delle ricchezze nelle mani di una classe particolare. Esso condanna anche l’avarizia dei ricchi e il loro rifiuto di fare l’elemosina. Esso impedisce ai padroni di essere ingiusti nei confronti degli operai. Questo appello spirituale stabilisce un legame fra l’uomo e Dio, e anima i più puri sentimenti umani che risiedono nel foro interiore dell’uomo, in modo che, cercando la ricompensa nell’aldilà e il rispetto di Dio, tutti i piaceri e le ricchezze perdono il loro valore. Perché la cupidigia, l’avidità, la bramosia, l’ingiustizia e l’oppressione derivano dall’incredulità nella resurrezione. La storia ci insegna che ogni deviazione dalla credenza in Dio è stata accompagnata da deviazioni nel pensiero degli uomini e nelle relazioni con i loro simili. E’ impossibile che un uomo prossimo a Dio sia disposto all’ingiustizia e alla violazione dei diritti degli altri, allo scopo di accumulare beni e ricchezze. Nell’Islam è il governo che è incaricato di garantire gli interessi del singolo e della società. Esso ha il dovere di proibire fermamente le libertà nocive e di mettere in vigore le leggi. Inoltre, è un dovere pubblico affermare nella società i buoni costumi e proteggerla da ogni deviazione e da ogni bassezza. Infine, l’Islam riconosce la personalità del singolo come fattore attivo e positivo nella vita. Quest’ordine islamico, che non conosce gli errori del blocco capitalista, è d’altra parte sicuramente più equo di ogni sistema comunista. Esso si pone ben al di sopra del capitalismo e del comunismo e può, con l’equilibrio e con l’armonia che gli sono propri, brillare al di sopra dei sistemi della sovversione, mediante l’eccezionalità delle sue valenze sociali. Ciò che colpisce è che il minuzioso e illuminato ordinamento islamico risale ad un’epoca in cui il mondo non aveva alcuna conoscenza della giustizia sociale e non riconnetteva alcun valore al fattore economico. Dal punto di vista islamico, l’uomo non è affatto sottomesso alla fatalità economica né ad ogni altra forma di predeterminazione. Esso è, al contrario, la sola forza attiva e positiva di questo mondo, senza essere uno schiavo impotente di fronte allo sviluppo della dinamica economica. Il più grande vantaggio dell’Islam in rapporto agli altri metodi economici è che esso non contiene alcuna evoluzione deterministica. Esso conferisce una forma particolare alla vita delle persone, impedendo così che una classe cerchi di sfruttarne un’altra. Numerosi filosofi e pensatori contemporanei quali William James, filosofo statunitense, Harold Laski, John Strashy e Bertrand Russel, filosofi britannici, così come Walter Lippman, celebre scrittore statunitense, criticano i sistemi capitalista e comunista, lasciandosi alla ricerca di una soluzione più equilibrata. Essi si sono fatti ciascuno un’opinione, dichiarano che il sistema comunista priva il singolo della sua libertà naturale e della sua volontà e che esso consegna il destino del singolo e della società fra le mani dell’oligarchia burocratica, alla quale viene accordata un’autorità assoluta. Conseguentemente, la personalità del singolo e il suo spirito d’iniziativa spariscono nel clima oscuro della repressione, fino ad interrompere il processo di sviluppo. Per quanto riguarda la democrazia capitalistica, nella quale la libertà individuale supera i limiti, essa intacca l’armonia sociale. Un gruppo di potenti capitalisti monopolizza le risorse e i fattori della produzione, ponendoli al proprio servizio. Essi sottomettono così il popolo alla loro volontà economica e influenzano i sistemi politici e di governo. E’ dunque per questo motivo che l’umanità deve scegliere una terza soluzione che non contenga alcun eccesso presente negli altri sistemi, assicurando altresì gli interessi del singolo e della società in maniera equa. Ma i filosofi e i pensatori che hanno così ben scoperto gli errori dei sistemi del mondo moderno, che cos’hanno da proporre meglio dell’Islam e di ciò che esso ha apportato or sono già da quattordici secoli? Questa strada equilibrata che, da una parte, concede al singolo una ragionevole libertà, e che, dall’altra parte, doma completamente il furore capitalistico, e che, infine, è capace di salvare l’umanità dallo smarrimento e dalla miseria. Le leggi e le prescrizioni islamiche hanno soddisfatto, nel corso degli ultimi secoli, i bisogni delle comunità islamiche e hanno regolato la vita sociale delle grandi masse musulmane dislocate in vasti territori, e sia pure appartenenti a razze e a nazionalità differenti. Mai la comunità islamica ha avuto bisogno, in passato, di legislazioni straniere. Nell’epoca attuale, a dispetto di tutte le evoluzioni e di tutti i cambiamenti che hanno scosso il mondo, questi stessi metodi, ‘saturi’ di valori, possono dirigere la comunità islamica e rispondere correttamente a ogni esigenza. Si tratta di precetti che tengono conto dell’insieme degli aspetti dell’esistenza e dei bisogni materiali e spirituali e che, a ogni livello, instaurano un ordine equilibrato, completamente in armonia con le tradizioni e con le leggi della vita, non invecchiano e non si deteriorano mai. I principi fermi e puri dell’Islam sono ben più “progressisti” di ogni altro concetto umano. Essi sono superiori alle altre leggi e agli altri insegnamenti, adattandosi alla diversità dei caratteri umani, e allorché i principi sociali dell’Islam sono comparati con quelli delle altre dottrine che si rivolgono alle persone, ci appare la nobiltà e la superiorità degli insegnamenti islamici, così come la distanza fra il sistema divino e i regimi umani. La facoltà di giurisprudenza dell’università di Parigi ha spesso dedicato seminari all’approfondimento dello studio del diritto islamico. Gli organizzatori hanno proposto ai sapienti dell’Islam di dibattere un qualsivoglia argomento dal punto di vista del diritto islamico, nonché di esporre, ove essi l’avessero voluto, altri aspetti del diritto islamico. Gli argomenti sono stati i seguenti: la giustificazione della proprietà; i casi e le condizioni dell’esproprio della proprietà privata in favore della comunità; la responsabilità penale; l’influenza reciproca delle diverse branche del diritto islamico. “La nostra economia”, vol. 2, pag. 216 Nel caso in cui si ammettesse questa pretesa. Ma bisognerebbe anche prestare attenzione alla seguente: una delegazione incaricata di controllare i prodotti alimentari ha riscontrato dopo nove mesi di studi e ricerche, che dieci milioni di americani soffrono di malnutrizione. Il capo di questa delegazione ha chiesto al Presidente degli Stati Uniti di proclamare lo stato di emergenza, tenuto conto della gravità del problema, e di inviare aiuti urgenti e gratuiti nelle 256 città dei 20 stati americani più colpiti. “Storia della proprietà” (traduzione persiana), p. 94. Il presidente dell’ufficio parigino che ha presieduto una di queste conferenze aveva dichiarato nel corso dell’ultima seduta: “Io non so come stabilire il legame fra l’idea che noi abbiamo della rigidità del diritto islamico e della sua non adattabilità ai problemi e alle leggi odierni e, dall’altra parte, ciò che abbiamo ascoltato e compreso qui. Nel corso di questa conferenza, ci è stato provato che il diritto islamico dispone di una profondità e di una precisione particolare. La sua portata è vastissima, esso può rispondere affermativamente a tutti i bisogni e a tutte le esigenze dei nostri tempi”. La suddetta settimana del diritto islamico si è conclusa con la pubblicazione del seguente decreto: “Senza alcun dubbio, il diritto islamico ha un valore tale da poter essere una fonte di legislazione per il mondo attuale. Esistono infatti, nelle diverse proposte e tesi del diritto islamico, importanti risorse giuridiche, assai sorprendenti. Il diritto islamico, alla luce di queste tesi, può soddisfare tutti i bisogni della vita attuale” NOTE “La nostra economia”, vol. 2, pag. 216 Nel caso in cui si ammettesse questa pretesa. Ma bisognerebbe anche prestare attenzione alla seguente: una delegazione incaricata di controllare i prodotti alimentari ha riscontrato dopo nove mesi di studi e ricerche, che dieci milioni di americani soffrono di malnutrizione. Il capo di questa delegazione ha chiesto al Presidente degli Stati Uniti di proclamare lo stato di emergenza, tenuto conto della gravità del problema, e di inviare aiuti urgenti e gratuiti nelle 256 città dei 20 stati americani più colpiti. “Storia della proprietà” (traduzione persiana), p. 94. Tratto da: S.M. Mousavi Lari, “L’Islam e la civilizzazione occidentale”, Fondation of Islamic C.P.W., Qom, I.R.Iran A cura di Islamshia.org © E' autorizzata la riproduzione citando la fonte
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