Introduzione all’ordinamento economico islamico

La Via di Mezzo L’Islam è un sistema di vita onnicomprensivo. Esso non riguarda solo l’innalzamento spirituale degli esseri umani, ma allo stesso tempo si preoccupa del loro benessere materiale e fisico. L’Islam guida i credenti tanto nei campi finanziari ed economici, quanto in quelli che abbracciano la sfera personale ed etica. E’ opportuno descrivere brevemente i tratti salienti del sistema stesso. In ogni caso si deve porre l’accento sul fatto che l’ordinamento economico è solo uno dei tanti aspetti di un sistema di vita globale, non completo di per sé. L’Islam è un unico sistema di vita nel quale tutti gli aspetti (religiosi, dottrinali, sociali, politici ed etici) sono ben sincronizzati e lavorano in sinergia nel giusto equilibrio. I Musulmani potranno avere successo nella realizzazione della società islamica soltanto se riusciranno a far funzionare tutto il sistema nel suo complesso, e non privilegiando o rifiutando ciò che risulta loro più o meno comodo. Il modo migliore per descrivere l’ordinamento economico islamico è quello di porre l’accento sulle differenze con altri due sistemi economici: il capitalismo e il comunismo. Il capitalismo è un’ideologia economica che si fonda sull’idea del possesso privato dei mezzi di produzione e distribuzione. Si tratta di un sistema nel quale il capitalista (colui o coloro i quali hanno la proprietà esclusiva dei mezzi di produzione e distribuzione dei beni e del loro controllo) viene lasciato libero di agire come crede, e nessun tipo di tutela nei confronti dei lavoratori viene assicurata dal governo. Ad esempio, nessun salario minimo viene garantito per legge e tutto viene regolato dal principio della domanda e dell’offerta. In questo modo il ricco riesce ad accrescere sempre di più i propri averi, mentre i subalterni diventano economicamente sempre più deboli e ricattabili. La povertà viene assimilata alla mancanza di iniziativa personale; la mancanza personale di denaro viene considerata la causa della povertà. Quindi, nel suo sistema ideale, il capitalismo non lascia spazio alla compassione e alla benevolenza verso i poveri ed i bisognosi (1). Una mentalità simile esisteva anche tra i notabili di Mecca; infatti nel Sacro Corano è scritto: "E quando si dice loro:- Siate generosi di ciò che Dio vi ha concesso. I miscredenti dicono ai credenti:- Dovremmo nutrire chi sarebbe nutrito da Dio se lo volesse?" (Sura Ya Sin, 36:47). Per rimediare a tale situazione, qualche pensatore occidentale ha promosso l’idea del comunismo. La dottrina economica del comunismo si basa sulla centralizzazione pubblica dei sistemi di produzione e distribuzione. I comunisti andarono all’estremo opposto dei capitalisti, negando totalmente il concetto di proprietà privata. Il comunismo fu una reazione ai vizi del capitalismo, ma una reazione che cercava di rimuovere completamente un concetto insito nella nostra natura, ovvero quello della proprietà privata. Ovviamente, non appena alle masse fu data la libertà politica, queste si ribellarono contro il comunismo. Ciò è testimoniato dal crollo di questo sistema in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est. Sebbene il comunismo abbia fallito, ha avuto un certo impatto nelle politiche economiche di molti paesi. Alcuni paesi capitalisti, per impedire la diffusione del comunismo, hanno modificato il loro sistema economico creando quello che oggi è conosciuto come "Stato sociale" (welfare state). Esso, in teoria, dovrebbe prevenire lo sfruttamento dei lavoratori ed operare in modo da garantire i bisogni primari di tutti i cittadini. L’Islam è la "Retta Via" e di conseguenza il suo ordinamento economico si basa su criteri ben equilibrati. L’Islam, al contrario del comunismo, riconosce il concetto di proprietà privata; ma, al contrario del capitalismo, limita l’accumulo di eccessiva ricchezza da parte di poche persone. L’ordinamento economico islamico si fonda sulla credenza che solo Iddio è il vero Proprietario di ogni cosa. Ma Egli ha anche instillato il concetto di proprietà nella nostra natura e di conseguenza ci è permesso "possedere" i "nostri" averi in questo mondo. Il Sacro Corano dice: "A Dio appartiene tutto ciò che è nei cieli e sulla terra" (Sura al-Baqara, 2:284). Iddio è il Proprietario dell’intero universo, ed è solo grazie a Lui che ci è consentito di avere in questo mondo: "Egli ha creato per voi tutto quello che c’è sulla terra" (Sura al-Baqara, 2:29). Ad ogni modo, come si è detto, l’Islam vuole prevenire l’accumulo eccessivo di ricchezze nelle mani di poche persone, che dividerebbe la società in due classi: una affamata e una sovra nutrita. La possibilità che si concretizzi tale situazione è reale: basta osservare gli Stati Uniti d’America, la più ricca nazione al mondo, ed i suoi problemi di povertà, fame, senzatetto, ecc., ci sconvolgeranno. Il Sacro Corano giustifica il concetto di tassazione dicendo: "... cosicché {la ricchezza} non sia monopolio dei ricchi fra di voi" (Sura al-Hashr, 59:7). Nel primo periodo della storia islamica una situazione simile si presentò nei fatti. Quando ‘Uthman Ibn ‘Affan divenne califfo, egli divise le ricchezze in modo che i componenti della sua tribù, i Bani Ummaya, in breve tempo, divennero i Musulmani più ricchi della Comunità Islamica (Ummah). L’Imam ‘Ali Ibn Abu Talib (as), in un famoso sermone, spiega le ragioni per cui egli era riluttante ad accettare il califfato dopo l’omicidio di ‘Uthman. L’Imam (as) dice: “... e non ci fosse stata l’ampia presenza di persone che hanno prestato giuramento di fedeltà, e se non ci fosse stato il chiaro argomento degli amici, e se Dio non si fosse fatto promettere dai sapienti di non tacere dinanzi alla voracità degli iniqui e alla fame degli oppressi, avrei di sicuro gettato le redini del cammello del califfato sulla sua gobba...” (2) La massima priorità del califfato dell’Imam ‘Ali (as) fu subito quella di ristabilire la giustizia sociale nella Comunità Islamica. Non è un caso che la forte opposizione ad ‘Ali (as) fu intrapresa da parte di coloro che avevano acquisito dei privilegi speciali durante i califfati precedenti. L’Islam non solo insegna l’uguaglianza tra i Musulmani davanti ad Allah (SwT), ma promuove anche l’uguaglianza sul campo economico. Tuttavia “uguaglianza” nell’Islam non significa “uniformità”. L’Islam mira ad elevare ogni credente al livello di Ghina, cioè l’essere liberi dal bisogno. Ed è questa uguaglianza ciò a cui mira l’Islam nel suo ordinamento economico. Uguaglianza economica Per apportare uguaglianza intesa come condizione economica, l’Islam ha introdotto vari metodi. Uno di questi consiste nel trasferimento della ricchezza eccessiva dal settore più abbiente della società a quello che lo è meno. Questo viene effettuato su due diversi livelli: quello individuale e quello collettivo. Ad un livello individuale L’uguaglianza economica viene perseguita attraverso gli insegnamenti morali ed etici relativi alla carità. In arabo, questi vengono chiamati con termini quali Sadaqah e Infaq. Ci sono molti Versetti nel Sacro Corano che dicono ai Musulmani di aiutare gli altri volontariamente. Ci sono molti più Versetti che trattano della carità volontaria piuttosto che delle tasse dovute. Ognuno di noi è tenuto ad aiutare il prossimo, in base alle proprie possibilità ed ai propri mezzi. Ci sono tre livelli di carità. Primo livello: "E ti chiedono {O Muhammad}:- Cosa dobbiamo dare in elemosina?". Dì:- Il sovrappiù-" (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2:219). Secondo livello: "I timorati che ... donano di ciò di cui Noi li abbiamo provvisti" (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2:3). Terzo livello: "Quelli che donano nella buona e nella cattiva sorte" (Sacro Corano, Sura ali-°Imran, 3:134). In tutti questi livelli, si deve ricordare di seguire la via della moderazione: "Non portare la mano al collo e non distenderla neppure con troppa larghezza, ché ti troveresti biasimato e immiserito" (Sacro Corano, Sura al-Isra’, 17:29). Fu chiesto all’Imam Jafar as-Sadiq (as) riguardo ad un gruppo di persone ricche e ad un gruppo di fratelli Musulmani poveri: "E’ giusto che i ricchi mangino e bevano in abbondanza mentre i loro fratelli sono affamati, in ispecie nei giorni di difficoltà?". L’Imam (as) rispose: "Invero un Musulmano è fratello di un altro Musulmano, egli non opprimerà suo fratello, né lo abbandonerà o priverà dei suoi diritti. Ai Musulmani è richiesto di lavorar duro per i propri fratelli, di stare loro vicino, di aiutarli ad essere caritatevoli verso i bisognosi". (3) Ad un livello collettivo L’uguaglianza economica viene garantita attraverso le tasse dovute sull’eccedenza della ricchezza di ogni Musulmano. In una società islamica ideale, il governo islamico è responsabile del rispetto delle leggi concernenti tasse islamiche quali Khums, Zakat, Khiraj, ecc.. Ad esempio, nello spiegare il ruolo dell’Imam in quanto Guida, l’Imam Musa al-Kadhim (as) dice: "L’Imam è il legalitario di una persona che non ha legalitario, e il sostentatore di una persona che non ha sostentatore". (4) Questa sicurezza economica è estesa a tutti i soggetti dello Stato Islamico, anche se questi non sono Musulmani. Una volta l’Imam ‘Ali (as), vedendo un vecchio che stava elemosinando per la strada, chiese: "Chi è costui?". Le persone presenti risposero: "O Principe dei Credenti, è un Cristiano". L’Imam (as) disse: "Lo avete usato finché non ha raggiunto la vecchiaia e, ora che non è più in grado di lavorare, lo avete privato dei suoi bisogni primari! Dategli ciò di cui necessita dal tesoro pubblico". (5) In breve, lo scopo dell’Islam è quello di eliminare il "bisogno" (hajat) ed elevare le persone bisognose allo stato di "libero dalla necessità" (ghani). NOTE 1) Un esempio chiaro e importante di questo modo di pensare fu il Presidente degli USA Ronald Reagan. Patti Davis, la figlia dei Reagan, rimproverava la politica di locazione dei senzatetto in America di suo padre e ne ridicolizzava gli aneddoti riguardo agli “imbroglioni dello stato sociale” (come Reagan definiva i senza tetto) e la sua opinione che le persone sono “senza tetto per scelta” (Rif. Globe & Mail, 21 Settembre 1990). 2) Nahj ul-Balaghah, sermone 3. 3) Hasan b. Hasan, al-Hurr al-’Amili Wasa’ilu ’sh-Shi’a, vol.11, (Beirut: Dar Iha’i ‘ t- Turathi ‘l - ‘Arabi , 1939 ) p.597. 4) Muhammad b. Ya’qub al-Kulayni, al-Usul al-Kafi, vol. 1 (Teheran: Daru ‘l-Kutubi ‘l-Islamiyya,1338 a.H.), p. 542. 5) Al-'Amili, Wasa’il, vol.11, p.49.