Il Trattato dei Diritti (Risalat al-Huquq)

William C. Chittick* Il “Trattato dei Diritti” dell’Imam Ali ibn al-Husayn Zayn al-Abidin è l’unica opera sistematica a lui attribuita oltre alle invocazioni, ai detti e alle lettere, relativamente brevi. Il fatto che si tratti di un documento scritto dal principio suffraga l’ipotesi che almeno sue parti fossero originariamente composizioni scritte. Il “Trattato dei Diritti” elabora una nota Tradizione del Profeta trasmessa in numerose versioni, sulla cui autenticità non vi sono dubbi perché egli la ribadì in molte occasioni e in contesti diversi. Una tipica versione di questa Tradizione è la seguente: “Certamente il tuo Signore ha un diritto su di te, il tuo sé ha un diritto su di te, e tua moglie ha un diritto su di te.” Altre versioni aggiungono ospite, corpo, occhio e amico, a coloro che hanno diritti. In alcune versioni è aggiunta un’altra proposizione: “Così dai a ognuno che possiede un diritto (kull dhi haqq) il suo diritto” (Bukhari). Un’altra Tradizione afferma che Dio ha dato a ognuno che possiede un diritto il suo diritto (Abu Dawud, Tirmidi, Bin Maja). Le fonti sciite forniscono molte importanti Tradizioni in merito. Per esempio il Profeta disse (vedesi Al-Khisal e Al-Amali di Shaykh Saduq): “Dio ha posto sette diritti che incombono sul credente nei confronti di un altro credente: rispettarlo nella sua persona, amarlo nel proprio cuore, condividere con lui i propri beni, considerare illegittimo calunniarlo, fargli visita nella sua malattia, accompagnare la sua bara, e dire nient’altro che bene su di lui dopo la sua morte.” Il “Trattato dei Diritti” dell’Imam Zayn al-Abidin sembra essere stato scritto successivamente alla richiesta di un discepolo, poiché in una delle due versioni è preceduto dalle parole: “Questa è la lettera di Ali ibn al-Husayn a uno dei suoi compagni”. In essa l’Imam spiega, in maniera più o meno esaustiva, cosa si intende per “ognuno che possiede un diritto” come riportato nella Tradizione citata precedentemente. Dal principio alla fine egli riporta esempi specifici, basandosi sul Corano, la Sunna, le azioni e i detti dei precedenti Imam. Sebbene nel presente contesto la migliore traduzione del termine “haqq” sia diritto, esso ha diversi significati strettamente affini da tenere a mente, come idoneità, giustizia, verità, realtà, correttezza, necessità, incombenza, obbligo, dovere e obbedienza. Uno sguardo al “Trattato dei Diritti” mostrerà velocemente che la parola ‘diritti’ si poteva meglio tradurre come ‘doveri’, ‘obblighi’ o ‘responsabilità’, poiché il trattato non riguarda direttamente i diritti dell’individuo, ma piuttosto i diritti degli altri che l’individuo deve osservare. Tuttavia penso sia importante mantenere il termine ‘diritti’, anche solo per evidenziare che nel considerare i diritti umani principalmente in termini di responsabilità, l’Islam diverge profondamente dalla maggior parte delle concezioni tipiche dell’Occidente moderno, e vanta invece profonde affinità con altre tradizioni religiose d’Oriente e d’Occidente. L’Islam considera l’individuo nel suo contesto globale, il che significa che valuta prima il suo rapporto con Dio, e poi quello con le Sue creature. Quello che è importante per l’individuo nella sua relazione con Dio è che egli ottenga la salvezza, o, in altre parole, che segua la guida di Dio, basata sulla misericordia e diretta verso il suo migliore interesse. L’Islam, in breve, svaluta la prospettiva individualistica, poiché gli esseri umani durante la vita non possono vedere altro che gli immediati interessi. Ma questa svalutazione dell’individualismo non equivale a una svalutazione dell’individuo; al contrario, essa lo eleva alla cima estrema dell’importanza, poiché ogni cosa è diretta verso la sua felicità nel mondo a venire. L’Islam, semplicemente, riconosce l’ignoranza degli esseri umani e la loro incapacità di percepire il bene ultimo senza la guida divina. Allora esso tende a rimuovere e distruggere l’ignoranza individuale, in un processo che implica il ridimensionamento dell’ego e l’eliminazione di tutti i desideri incentrati su di esso. Come risultato, il sé umano, o l’anima (nafs), ha pochi “diritti”, ma molti doveri e responsabilità. O piuttosto, l’anima ha solo un unico vero diritto: il diritto alla salvezza. Il diritto individuale alla salvezza segue naturalmente il diritto di Dio, che deve essere adorato senza che Gli si associ alcun altro consimile (ossia, Tawhid). La via verso la salvezza è quella di obbedire a Dio, perciò è diritto dell’anima essere impegnata nella obbedienza a Lui. Per Sua stessa natura – dal momento che “la Sua misericordia precede la Sua collera” – Dio manifesta compassione e guida, e attraverso l’obbedienza il servo si apre alla massima portata di questa compassione. In altre parole, la partecipazione alla misericordia e alla compassione di Dio dipenda dal seguire la Sua guida, e seguire la Sua guida significa osservare la Shariah (Legge Divina) come rivelata attraverso il Corano e la Sunna. Perciò l’Imam parla dell’ “essere impegnato nell’obbedienza” come del diritto fondamentale del sé, poiché solo ciò può determinare la sua liberazione. Non appena si delinea questo ampio contesto per raggiungere il diritto del sé, per l’individuo divengono obbligatori dozzine di doveri. L’Imam chiarisce che i doveri primari sono verso i vari organi e attività del sé, poiché questi determinano la relazione dell’uomo con Dio. Gli organi hanno diritti perché essi partecipano al destino dell’individuo; la “resurrezione del corpo” è data per scontata. Le attività hanno diritti perché modellano il destino dell’anima. E gli altri esseri umano hanno diritti perché essi formano il contesto entro cui l’attività si esplica. Le azioni dell’essere umano possono essere corrette solo se si osservano i diritti di tutte le creature di Dio. Questo, in breve, è l’argomento del “Trattato dei Diritti”, un argomento che è avvalorato da molte suppliche del “Sahifa as-Sajjadiyya”, come per esempio la numero 14. Il Trattato è stato tramandato in due versioni, una in Al-Khisal e Al-Amali, entrambe redatte da Shaykh al-Saduq (m. 581/991), e l’altra dal suo contemporaneo Ibn Shuba al-Harrani nel Tuhaf al-Uqul. Circa metà del testo delle due versioni è identico, ma la versione di Ibn Shuba ha molte aggiunte che dimostrano che si tratta di una recensione posteriore, forse dell’Imam stesso, o più probabilmente di un autore successivo che cercava di chiarirne il significato. * introduzione a “Trattato dei diritti (Risalat al-Huquq)” dell’Imam Ali ibn al-Husayn Zayn al-Abidin, Irfan Edizioni, 2010. Il testo è ordinabile alla nostra Associazione scrivendo a [email protected] o chiamando il 3394968095. Fonte: Islamshia.org