La scomparsa dell’Imam Musa Sadr, di Shaykh Muhammad Ya’qub e di Abbas Badreddin in Libia
La scomparsa dell’Imam Musa Sadr, di Shaykh Muhammad Ya’qub e di Abbas Badreddin in Libia
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Contesto generale della scomparsa dell’Imam Sadr Dopo l’invasione israeliana del sud del Libano il 14 marzo 1978, l’Imam Musa Sadr iniziò un viaggio nei paesi arabi per discutere riguardo i tragici avvenimenti e proporre un summit arabo che esplorasse le possibili soluzioni. Dopo aver visitato la Siria, la Giordania e l’Arabia Saudita si recò in Algeria, dopo il Presidente Bumedian gli suggerì di visitare anche la Libia, vista l’influenza che Gheddafi esercitava sulla situazione politica e militare in Libano. L’Imam annunciò che avrebbe accettato un invito ufficiale per recarvisi. Ricevette l’invito il 28 luglio 1978. Il 25 agosto l’Imam Musa Sadr partì per la Libia insieme a Shaykh Muhammad Ya’qub e ad Abbas Badreddin, proprietario di un’agenzia di stampa locale che stava seguendo la visita. I tre uomini alloggiarono, come ospiti delle autorità libiche, nell’Hotel Al-Shate’ di Tripoli. I mezzi di comunicazione locali non menzionarono mai la sua presenza nel paese e ciò che è ancora più strano è che essi non contattarono mai nessuno al di fuori del paese: l’Imam non chiamò né alla sua famiglia né al Consiglio Supremo Sciita e Badreddin non inviò alcun rapporto alla sua agenzia di notizie. Secondo le indagini, l’Imam Musa Sadr aveva in programma una riunione con Gheddafi la notte tra il 29 e il 30 agosto. Il Presidente libico propose una riunione per il giorno successivo perché aveva in programma un incontro nel quale doveva discutere del suo “Libro Verde” con un gruppo di libanesi che visitavano Tripoli e la cui durata si era estesa più del previsto. Il 31 agosto, alle ore 13, l’Imam Musa Sadr e i suoi due compagni furono visti abbandonare l’Hotel al-Shate’ con l’auto fornita dalle autorità libiche per riunirsi con Gheddafi. Da allora non si seppe più nulla. Le dubbiose dichiarazioni libiche La versione ufficiale libica fu articolata in un comunicato datato 17 settembre e fu pubblicato soltanto dopo molta pressione internazionale affinché la Libia spiegasse la propria posizione. Il comunicato assicurava che l’Imam e i suoi compagni avevano abbandonato la Libia in direzione di Roma a bordo di un aereo della compagnia Alitalia nella notte del 31 agosto, senza previa notifica alle autorità locali. Il 21 settembre, durante una visita a Damasco, dove una delegazione di sapienti libanesi si era riunita con lui per discutere questo argomento, Gheddafi disse che la riunione era stata programmata per il 31 agosto alle 13.30 e che, allorché l’Imam non si presentò, capirono che aveva abbandonato il territorio libico. Questa versione fu successivamente smentita da varie fonti, così come dalle indagini libanesi e italiane. Nel settembre del 1978 il governo libanese inviò in Libia e in Italia una squadra di agenti incaricata di indagare sul caso. Le autorità libiche negarono l’ingresso in Libia ai poliziotti libanesi. In Italia la squadra concluse, in base alle proprie indagini, che l’Imam e i suoi due compagni non erano mai arrivati a Roma e che non avevano mai abbandonato la Libia nel volo e nell’orario menzionati nel comunicato ufficiale libico. Il 25 febbraio 1979 una delegazione libanese viaggiò in Arabia Saudita per discutere il caso. Tanto il Re Khaled quanto il Re Fahd assicurarono che in realtà la riunione tra l’Imam Sadr e Gheddafi aveva avuto luogo e che la discussione si era riscaldata a causa delle discrepanze reciproche sulla crisi libanese e il ruolo che la Libia doveva svolgervi. Due indagini italiane I bagagli dell’Imam e dei suoi accompagnatori furono ritrovati nell’Holiday Inn a Roma. La magistratura italiana condusse un’indagine dettagliata in base alla quale il giudice istruttore di Roma emise la sentenza di archiviare il caso il 7 giugno 1979, dopo aver concluso che l’Imam e i suoi compagni non avevano abbandonato la Libia in un aereo dell’Alitalia e che non fecero ingresso in Italia mediante nessun altro mezzo di trasporto. Le denunce presentate dal procuratore di Roma il 19 maggio 1979 affermavano che l’Imam e i suoi compagni non avevano mai lasciato il suolo libico. Più tardi il governo italiano informò ufficialmente i governi di Libano, Siria e Iran, e al Consiglio Supremo Sciita, che l’Imam Sadr e i suoi compagni non erano mai entrati in Italia né avevano transitato nel paese. Su richiesta ufficiale delle autorità libiche, appoggiate da una relazione d’indagine realizzata in Libia, la magistratura italiana riaprì il caso e realizzò, nuovamente, un’indagine su ampia scala, esaminando nuove piste e raccogliendo dichiarazioni di testimoni tanto in Libano come in Libia. Nel gennaio 1982 questa indagine confermò i risultati della prima inchiesta, concludendo che la relazione dell’indagine libica era falsa. La magistratura libanese Con il decreto n. 3794 del 4 febbraio 1981, il governo libanese trasferì il caso della scomparsa dell’Imam Sadr, considerato come un crimine contro la sicurezza interna dello Stato, al Consiglio Giudiziario (al-Majlis al-‘adli). Il Consiglio nominò Tarabay Rahmeh quale giudice istruttore del caso. Il 18 novembre 1986 emise l’attacco di accusa, il quale includeva prove e testimonianze che confermavano la scomparsa dell’Imam Sadr e dei suoi due compagni sul territorio libico e che indicavano che un certo numero di individui si erano appropriati delle loro identità e avevano fabbricato gli indizi della loro presenza a Roma. La sentenza inoltre confermava la competenza della magistratura libanese per risolvere il caso e stabilire un’indagine permanente che garantisse l’identificazione di autori, promotori e complici dei crimini summenzionati. Nel maggio del 2001 i familiari dell’Imam Sadr, di Shaykh Ya’qub e di Badreddin presentarono una petizione alle autorità libanesi chiedendo che venissero adottate tutte le misure legali necessarie per attivare il caso. Venne inoltre intentarono una causa come parte civile davanti al giudice istruttore di Beirut, Hatem Madi, contro qualsiasi individuo che le indagini indicassero come autore, promotore o complice della detenzione arbitraria dell’Imam e dei suoi compagni. Il pubblico ministero Addoum rispose alla richiesta del 22 maggio 2001 dichiarando la validità della decisione del Giudice Rahmeh e indirizzando una lettera rogatoria a tutti i servizi di sicurezza affinché conducessero le indagini necessarie e prendessero le misure pertinenti. Nel luglio del 2004, il figlio dell’Imam Sadr e le rispettive mogli dello Shaykh Muhammad Ya’qub e di Abbas Badreddin presentarono un’altra richiesta a titolo personale al pubblico ministero della Corte di Cassazione, Adnan Addoum, contro il Presidente Muammar Gheddafi e altri diciassette responsabili libici. Tra questi documenti i richiedenti aggiunsero alla denuncia delle registrazioni audio e video e alcuni estratti dalla stampa ufficiale libica del 1 settembre 2002, che informavano del discorso di Gheddafi nel quale riconosceva pubblicamente la scomparsa di Sadr e dei suoi compagni in Libia. Il 2 agosto 2004 il pubblico ministero Addoum emise una risoluzione che ordinava la riapertura del caso ed esigeva che tutte le persone coinvolte fossero interrogate, incluso il Presidente libico Gheddafi. Quando il giudice Taraby Rahmeh rifiutò il caso per “motivi personali”, venne nominato giudice istruttore al suo posto il giudice Suheil Ra’uf Abdul Samad. Il 21 ottobre 2004 il giudice Abdul Samad fissò l’inizio dell’indagine per il 16 marzo del 2005, notificandolo alle autorità libiche per mezzo del Ministero degli Affari esteri libanesi. L'Imam Musa Sadr con lo Shaykh Ya'qub Lo sviluppo giudiziario in Italia e la reazione libanese Nel 2005 la magistratura italiana tornò ad aprire il caso in modo improvviso e inaspettato, a causa della richiesta realizzata dalle autorità libiche durante una visita del Primo Ministro italiano in Libia. Il modo in cui ciò avvenne fu certamente dubbioso; né i familiari degli scomparsi, né il Libano, né l’Iran furono informati di questi accadimenti e quello che è tuttavia più sospetto è che la dichiarazione di Gheddafi, secondo la quale l’Imam e i suoi compagni erano scomparsi in Libia, non venne tenuta in considerazione. L’unica cosa che fecero le autorità italiane fu quella di prendere le dichiarazioni di un pugno di testimoni, le cui testimonianze già erano state rifiutate come false nel processo italiano del 29 luglio 1982. Successivamente, il giudice istruttore Simonetta D’Alessandro emise il verdetto di chiudere l’indagine, dopo aver negato l’esistenza di nuove piste rispetto a quanto emerso rispetto alla prima volta che il caso era stato chiuso – suggerendo vagamente che l’Imam poteva esser scomparso sul territorio italiano. Per questo motivo il 16 febbraio 2006 il Primo Ministro libanese, Fouad Siniora visitò il suo omologo italiano Silvio Berlusconi, che lo assicurò che l’Italia avrebbe realizzato tutto gli sforzi necessari per aiutare il Libano “a scoprire la verità” riguardo il sequestro dell’Imam Musa Sadr e dei suoi compagni. Inoltre suggerì che i ministri della Giustizia d’Italia e Libano si coordinassero per esaminare le misure che potevano essere prese. Il Portavoce del Parlamento libanese, Nabih Berri, viaggiò brevemente in Italia per discutere questo argomento con vari rappresentanti italiani. Successivamente il governo libanese nominò il giudice militare istruttore Samih Hajj come responsabile per la collaborazione con le autorità italiane riguardo il caso. Samih Hajj si recò a Roma nel giugno del 2006. Accuse della magistratura libanese a funzionari libici Nel luglio del 2006, dopo la rinuncia del giudice Suheil Abdul Samad per “motivi personali”, il Consiglio Giudiziario nominò Samih Hajj, giudice d’istruzione del tribunale militare, come incaricato del caso. Il motivo era che il sequestro dell’Imam Musa Sadr e dei suoi compagni, lo Shaykh Muhammad Ya’qub e Abbas Badreddin, “metteva in pericolo la sicurezza interna dello Stato”. Il 5 giugno 2007 il giudice Samih Hajj stabilì che l’interrogatorio dei diciassette libici sospettati di aver partecipato al sequestro, detenzione arbitraria e successivo assassinio dell’Imam e dei suoi compagni si tenesse il 2 luglio. Tenendo in conto che era impossibile notificare agli accusati presso il loro luogo di residenza in Libia per mezzo dei canali diplomatici – che venivano registrati nei documenti del Ministero degli Affari Esteri - il giudice Hajj li considerò come notificati attraverso i mandati pubblicati sugli spazi presenti all’interno del tribunale. I diciassette accusati erano: al-Morghani Massud al-Tmi (autista dell’Ufficio Protocollo), Ahmad Mohammad al-Khattab (impiegato della segreteria del Congresso Generale del Popolo di Tripoli occidentale), al-Hadi Ibrahim Mustafa al-Sa’dawi (vicedirettore dell’Alitalia all’aeroporto di Tripoli, incaricato della torre di controllo), Abdul Rahman Mohamad Ghweyla (tenente di polizia nel dipartimento di migrazione e passaporti, direzione generale; lavorava nell’aeroporto nella sezione partenze), Mohammad Khalifa Sahuyn al-Azizia (capo delle risorse umane all’Oxyde Natal a Tripoli occidentale), Ashur al-Fertass (capo del Dipartimento degli Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri Libici nel 1978), Ahmad Shahata (direttore del Dipartimento degli Affari Esteri della Segreteria Generale del Congresso Generale del Popolo nel 1978), Ahmad Mass’ud Saleh Tarhun (capo del Dipartimento migrazione e passaporti dell’aeroporto di Tripoli tra il 2 febbraio 1978 e il 24 marzo del 1979, Direzione Generale), Mohamad Ali al-Ruhaibi (tenente colonnello della polizia generale libica), Ibrahim Khalifa Omar (tenente, servizio di sicurezza dell’aeroporto), Issa Mass’ud Abdallah al-Mansuri (impiegato nella formazione di progetti elettrici e attualmente in servizio militare), Ali Abdul Salam al-Treyki (Mnistro degli Affari Esteri libici dal 1976 al 1982 e dal 1984 al 1986, e poi ambasciatore presso le Nazioni Unite); Abdul Salam Jallud (Primo Ministro libico nel 1978), Mahmud Mohamad bin Kura (funzionario diplomatico nell’ambasciata libica in Libano nel 1978), Ahmad al-Atrash (segretario della segreteria del Ministero degli Affari Esteri libici nell’agosto 1978) e Mohamad Weld Dada (ambasciatore mauritano in Libia nel 1978). Il 3 agosto 2007 il giudice Samih Hajj emise sei ordini di custodia in contumacia a nome dei rappresentanti libici e undici ordini di comparizione per identificare undici individui prima di poter emettere un ordine di arresto. Questi ordini furono convertiti in ordini di arresto e ricerca internazionale dalla magistratura libanese e, in conformità con i procedimenti necessari, comunicati all’Interpol il 21 agosto 2007. Successivamente, il giudice Hajj designò una commissione tecnica per esaminare il passaporto dell’Imam, che costituiva parte del caso italiano e che venne consegnato alle autorità libanesi. Gheddafi viene imputato dalla magistratura libanese Il giudice Samih Hajj chiamò a comparire davanti al tribunale libanese alle 9.00 del 23 aprile 2008 per “sequestro, detenzione arbitraria, furto d’identità, falsificazione e uso di falsa documentazione” il leader libico Muammar Gheddafi. La citazione di comparizione menzionava inoltre che se Gheddafi non si fosse presentato in tribunale, sarebbe stato giudicato in contumacia, in conformità agli articoli 165 e 166 del Codice penale. Nel concludere la sessione, il giudice Samih Hajj decise di chiudere le indagini e trasferire il caso al procuratore generale affinché rilasciasse il suo verdetto. Il 7 agosto 2008 il procuratore generale Said Mirza emise il suo verdetto e trasferì il caso al giudice istruttore del Consiglio Giudiziario, Samih Hajj, affinché rilasciasse il suo verdetto. L’accusa formale di sequestro e detenzione arbitraria dell’Imam Musa Sadr e dei suoi compagni, Shaykh Muhammad Ya’qub e Abbas Badreddin, venne emessa il 21 agosto 2008. Il giudice Hajj imputò a Gheddafi e a diciassette rappresentanti libici di essere i promotori e complici del sequestro dell’Imam Sadr e dei suoi compagni. Differenti posizioni Nell’agosto del 1978 e più avanti nell’aprile del 1980, il Consiglio Supremo Sciita dichiarò ufficialmente che considerava Gheddafi responsabile personale della scomparsa dell’Imam Sadr e dei suoi compagni di viaggio. Questa posizione venne ribadita nel febbraio del 1982, dopo che vennero conosciuti i risultati della seconda indagine giudiziaria italiana. L’11 dicembre 1979, per mezzo di “Philistin al-Saura”, anche l’organo centrale dell’OLP considerò Gheddafi responsabile di questo crimine. Nel maggio del 2008 il Parlamento iraniano (Majles Shura al-Islami) prende la decisione proseguire con il caso dell’Imam Sadr e dei suoi accompagnatori e pubblica un rapporto che considera il suo sequestro equivalente a una violazione della sicurezza nazionale della Repubblica Islamica dell’Iran. Il rapporto stabilisce anche undici misure da prendere, che includono: portare il caso davanti agli organismi internazionali e appoggiare il processo giudiziario in Libano; creare una commissione per raccogliere informazioni dai servizi di sicurezza di tutto il mondo; assegnare un budget del Parlamento per questo progetto e restringere la cooperazione tra Iran e Libia in tutti i campi. Traduzione a cura di Islamshia.org © E' autorizzata la riproduzione citando la fonte